Wolkenstein, un nobile palazzo di saperi e sapori

Lo stabile di via Tre Novembre raccontato in un libro di Guido Martini È meglio conosciuto come “Al Moro”, la storica locanda del centro


di Roberto Gerola


PERGINE. Palazzo Wolkenstein, meglio conosciuto come “Al Moro”, rappresenta una pagina di storia perginese dagli aspetti curiosi oltre che utili per la conoscenza del luogo dove si abita. E ci sono due filoni storici: il primo, riguarda il nome “Al Moro”, ed è presto detto perché è storia “recente” nel senso che la trattoria assunse tale denominazione sul finire del 1.800. E fa riferimento a tale Giuseppe Bertoni che appunto poco dopo il 1.890 decise di aprire nell’edificio in questione, una trattoria – locanda. Fu così che il nome dei Wolkenstein attraverso lo stemma araldico, che ancora oggi rappresenta la chiave di volta del portone principale, si unì alle pietanze. In sostanza, nobiltà e sapori sotto uno stesso tetto. E lo fu per tutti gli anni a seguire fino ai giorni nostri, con i fratelli Fontanari (Graziella, Enrico e Aldo) nelle cui mani, la gestione è da 35 anni a questa parte.

E’ per questa ricorrenza che ha visto la luce la pubblicazione di una cinquantina di pagine: una trentina dedicata al sapere (la storia del palazzo e della trattoria-locanda) e il rimanente dedicato ai sapori (antiche ricette di semplici pietanze trentine). Il tutto è frutto di un’attenta e paziente ricerca compiuta da Guido Martini, di Trento, 67 anni, residente a Pergine dal 2011. Con le sue indagini tra vecchie scartoffie e foto in bianco e nero ha risolto due enigmi. Il primo, scrivendo la storia dell’edificio; il secondo, scoprendo la ragione della denominazione “Al Moro”. «Si pensava - ci dice Martini - che la denominazione derivasse dalla figura in sé del logo posto sulla facciata: il putto nero con cappello frigio e la brocca in mano poteva ispirarsi a Otello. Invece no».

E Martini lo scrive: fu un omaggio, se così si può dire, di Giuseppe Bertoni (è circa il 1.890) al padre Antonio (morto nel 1.869) e che aveva un’eccessiva pigmentazione cutanea (in sostanza era po’ scuro in faccia), tanto che nell’atto di successione si parla di «Antonio, il Moro di Pergine». Svelato l’arcano. Ma come si inserì, Antonio Bertoni nella storia del palazzo? A questo punto ci sono le pagine di storia relative alla parte “nobile” con i nobili Wolkenstein a finire “sora poder” come si dice in buon trentino.

In pratica, Johann Joseph (discendente di uno dei figli di Wilhelm II) che visse dal 1.685 al 1.745, sposò (1.722) Maddalena l’ultima erede della famiglia Lener proprietaria del complesso edificato e circondato da mura merlate (a quel tempo comprendeva l’attuale Moro, la ex pretura e la casa con la macelleria Eccher) ma anche di numerosi palazzi sul lato sinistro scendendo in via Tre Novembre e via Maier (come l’Hippoliti, la chiesetta di S. Elisabetta e altri). La prima cosa che fece Johann Joseph fu quella di mettere il proprio stemma sul portone dell’edificio principale. Appunto, andò “sora poder”. Sarà Leopoldo (nel 1.872) a vendere l’edificio che diventerà “Al Moro”, a un commerciante di Strigno che a sua volta lo darà in gestione ad Antonio Bertoni appunto “il Moro di Pergine”. E così il cerchio si chiude.

Leopoldo aveva come avo diretto quel Johan Joseph che andò “soda poder” sposando Maddalena Lener. I Wolkenstein furono nobili impegnati a consolidare il proprio potere anche a Trento (e Alberto fu signore del Castello di Pergine) ma come tante famiglie nobili, risentirono nel 1800 del tramonto dell’aristocrazia, e di quel travolgente cambio di sistema politico, sociale ed economico che fece emergere la borghesia.

Le circa 50 pagine de “Palazzo Wolkenstein, Al Moro” contengono molte altre curiosità, per esempio come il palazzo trattoria – locanda arrivò nelle mani dei fratelli Fontanari, che fra qualche giorno festeggeranno i 35 anni e presenteranno la pubblicazione.













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