Via al Desert L’ex piazza d’armi e il «giallo» del Not

Ospitò campi agricoli e poi diverse caserme militari per diventare arteria di collegamento e ostello per rifugiati


di Mauro Lando


TRENTO. Via al Desert è uscita dal suo torpore di periferia e di strada di collegamento quando prese il volo nel marzo del 2000 l’idea di demolire due delle caserme che la accompagnavano per erigervi il nuovo ospedale cittadino. La spianata è stata realizzata, ma tutto è ancora fermo anche se in un settore nell’ex area militare dall’ottobre dello scorso anno è operante il centro di Protonterapia per la cura dei tumori.

Adesso la via è all’attenzione della cronaca per la disputa sul nuovo ospedale, ossia se confermarlo al “Desert” o se edificarlo a nord di Mattarello. Altrettanto recente, e altrettanto dibattuto, è l’utilizzo di un edificio della caserma Damiano Chiesa per accogliere un gruppo di profughi. Problema degli immigrati a parte, qualsiasi decisione sul dove erigere l’ospedale farà sì che via al Desert diventi sempre più “centrale” nel dibattito urbano ed urbanistico della città. Se verrà scelta l’area di Mattarello si porrà il problema di cosa farne dei piazzali delle caserme demolite, se invece il nuovo Santa Chiara arriverà in via al Desert, si porrà il problema dei collegamenti interni ed esterni alla città.

Tutto questo a dispetto del toponimo dell’area e della sua “storica” essenza e funzione: “Desert” infatti non è una denominazione priva di significato. Era infatti un luogo pressoché disabitato, spesso coperto di ghiaia dal Fersina ed in più si trovava all’estremità sud del territorio di Trento.

Proprio per queste sue caratteristiche un secolo fa, nella prima decade del 900, l’esercito austroungarico vi trasferì la “piazza d’armi”, ossia il luogo delle esercitazioni dei soldati, liberando da tale “servitù” l’attuale piazza Venezia. Durante la prima guerra mondiale vi furono collocati dei baraccamenti militari e si installarono i primi impianti radio a lunga distanza. Questo fu possibile perché vi era lo spazio sufficiente per conficcare nel terreno file di pali che reggevano le antenne radio collegate tra di loro.

La funzione militare continuò con l’esercito italiano che prima utilizzò gli edifici austroungarici e poi nel 1935 costruì la caserma Vittorio Emanuele III, ora intitolata a Damiano Chiesa. A fianco seguì un complesso militare chiamato “Monte Pasubio”, diventato dopo la seconda guerra mondiale caserma don Luigi Pezzoli. Nei decenni successivi, sul versante ovest della strada dove ora c’è la Protonterapia, fu realizzata la caserma Sergio Bresciani che serviva soprattutto come deposito ed autorimessa per i mezzi di trasporto militari.

In tempi recenti, tra il 2009 e il 2010, le caserme Pezzoli e Bresciani sono state demolite per ospitare quello che dovrebbe essere il nuovo ospedale della città. Il progetto è però nato sotto una cattiva stella: basta pensare al pasticcio dell’appalto bloccato ed alle recenti contrastanti opinioni sulla localizzazione.

Se attualmente la funzione militare originaria della strada resta affidata solo alla caserma Damiano Chiesa, l’annunciato arrivo dei profughi nel complesso che era destinato agli alloggi dei soldati fa scoprire un altro volto alla strada. Consente infatti di far tornare alla memoria quando al “Desert” non vi erano solo le alluvioni del Fersina e le esercitazioni dei militari, ma anche campagne da coltivare. Non per nulla l’area era denominata anche “al mas desert”, il che significa che vi era un maso agricolo. Il catasto teresiano del 1855 lo individua all’incirca nell’area dove ora si trova l’edificio che ospiterà i profughi. E’ indicato in proprietà del Consorzio di bonifica dal 1852 al 1921, ma dopo quell’anno non ve n’è più traccia: è probabile che sia stato demolito in occasione della costruzione delle caserme italiane. In attesa dell’ipotetico nuovo ospedale, chissà se sarà possibile creare degli orti in un tratto della spianata, magari affidandone la cura anche ai profughi.

Storia a parte, la maggioranza degli automobilisti che giornalmente la percorrono considerano via al Desert un facile collegamento alla tangenziale cittadina e con l’area di Ravina, “destra Adige” compresa. Tutto questo a partire dal maggio 1962 quando è stato aperto il ponte di Ravina e, più avanti nel tempo, da quando nell’agosto 1974 è stato reso transitabile quel tratto di tangenziale. Sono stati questi gli investimenti che hanno dato dignità viabilistica a quella strada che prima era poco più di un cul-de-sac a servizio delle strutture militari.

“Deserto”, maso agricolo, piazza d’armi, caserme con 25 morti nell’assalto delle truppe tedesche l’8 e il 9 settembre 1943, strada di collegamento, adesso ostello per immigrati, poi (forse) centro della sanità trentina: ecco quindi le funzioni e le trasformazioni di via al Desert a partire da inizio Novecento. Ce n’è però un’altra, meno visibile ma con la sua importanza: quella di piccolo centro artigianale. Di certo la storia di quella strada è pronta ad un nuovo balzo, ma verso dove? Verso l’ospedale o verso (ad esempio) il nuovo stadio cittadino?













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