«Una comunità viva con la fede al centro del suo cammino»

Il parroco, don Dario Silvello: «Il catechismo non dev’essere il mezzo per avere qualcosa, ma un percorso di formazione»


di Daniele Peretti


TRENTO. «Il catechismo non deve essere interpretato come una tappa obbligata per prendere qualcosa, ma come un cammino di formazione in una comunità viva: a cosa servirebbero i sacramenti, se non ci fosse una comunità cristiana? Come non è che con i sacramenti si sia automaticamente a posto con Dio, ma bisogna avere fede». A parlare è don Dario Silvello, parroco di Povo, ma anche insegnante di teologia al seminario.

Non le è mai capitato di dare la comunione ad un ragazzo, per scoprire poi che non poteva riceverla? «L'Eucarestia è l'unico sacramento non vincolato alla chiesa. Il celebrante come fa a sapere se la persona che ha di fronte può o meno fare la comunione? Ma anche se non ne avesse la possibilità, ma solo il desiderio, un prete ha il potere-diritto di negargliela?».

Rispetto al numero complessivo dei ragazzi della parrocchia, quanti fanno la prima comunione e quanti la cresima? «Non mi piacciono i numeri, ma le persone. Tuttavia posso dire che il 95% fa la prima comunione, di questi l'80% riceve la cresima, poi c'è l'esodo».

Non le piacciono i numeri, vuol dire che le andrebbe bene anche una chiesa vuota? «É solo una questione di fede: l'unico motivo per il quale si dovrebbe andare a messa. Se vedo di fronte a me trenta fedeli posso pensare che la loro presenza sia data dal credere in Dio, se vedo la chiesa colma il motivo è un altro e magari nemmeno religioso».

Ha scelto la catechesi tradizionale? «Certamente, insegnata dagli adulti ai ragazzi con qualche giovane che viene progressivamente inserito. Non coinvolgiamo i genitori perché abbiamo visto che non c'è interesse. Quest'anno abbiamo proposto un percorso a tema, ed abbiamo avuto venticinque partecipanti, mentre i ragazzi che frequentano la “catechesi istituzionalizzata” sono 272».

Che ha come punti principali ? «Itinerari di esperienza cristiana».

Anni fa Povo era conosciuto per il campo di pattinaggio. «Non lo facciamo più per motivi climatici. É rimasto invece il cinema teatro Concordia, che tra l'altro propone il pluridecennale “Lunedì al cinema”. Per rimanere nell'ambito dei giovani abbiamo una ventina di animatori dell'oratorio ed un neonato gruppo universitario che affronta temi di fede ed economia. Attualmente stanno discutendo su “Come vivere in un mondo globalizzato”».

Soddisfatto dei chierichetti? «Tra maschi e femmine sono 34 e sono in crescita. Certo bisogna motivarli: dal concorso a punti, alla gita annuale».

Come funziona il concorso a punti? «Si ricevono in base alla presenze ed a fine anno ci sono dei premi. Per la gita annuale svelo un indizio ogni domenica: chi viene ha maggiori possibilità di indovinare».

L'attività giovanile ha un obiettivo? «La carità cristiana. Un gruppo di ragazzi deve realizzare le sette opere di misericordia. Un altro, dopo un'adeguata preparazione ed in accordo con le famiglie, ha fatto delle visite caritative nel mondo della sofferenza, vistando ammalati molto gravi, avvicinandosi tramite il nostro seminarista alla realtà del carcere».













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