L'EDITORIALE

Un gentiluomo concreto, allergico alle chiacchiere

L'Italia riparte da Mattarella: il nuovo presidente "amico dell'autonomia"


Alberto Faustini


Una maglia intrisa di sangue. Comincia così, il 6 gennaio di 35 anni fa, la vita politica di Sergio Mattarella: mentre tiene fra le braccia il fratello Piersanti, presidente della Regione Sicilia, assassinato dalla mafia. Sergio era professore di diritto: schivo, ma profondo e anche ironico. Piersanti era il politico: esuberante e capace di scaldare. Un democristiano che cercava di cambiare una Sicilia che è da sempre la perfetta metafora del peggio e del meglio di cui è capace questo Paese. Un’eredità difficile. Che Sergio si calò sulle spalle come uno dei suoi vestiti grigi: poca apparenza, molta sostanza. La sostanza della Primavera di Palermo, del primo Leoluca Orlando, di una Dc da rottamare da dentro (per usare un linguaggio di oggi), di un’interpretazione profondamente laica - come quella di Moro, al quale Sergio somiglia per molte ragioni, e di Degasperi - dell’essere cattolici in politica.
Quel giorno lontano, la testimonianza civile, insieme al dovere di portare a termine impegni, progetti e idee, diventava la cifra del cammino di Sergio Mattarella, più volte ministro, (con tanto di dimissioni contro la legge Mammì che favoriva Berlusconi), vice presidente del Consiglio, poi giudice costituzionale e infine dodicesimo inquilino di un Colle che non poteva restare troppo a lungo disabitato. E qui sta il capolavoro di Renzi: non nelle maggioranze variabili che usa come taxi per raggiungere singoli obiettivi, ma nel comprendere quanto il Paese avesse bisogno di autorevolezza e di velocità, di saggezza e soprattutto di sobrietà. Sottolineata anche dalla prima visita alle Fosse Ardeatine e dalla prima brevissima dichiarazione del nuovo capo dello Stato: «Il mio pensiero va soprattutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini». Difficoltà e speranza: in due parole, un’istantanea della propria esistenza e dell’impegno futuro. Ridare speranza concreta a italiani che non ne possono più di chiacchiere (che lui detesta).
Non «moriremo democristiani», come preconizzava Montanelli: gli italiani - come chi li rappresenta in Parlamento - restano moderati e aggrappati a valori genuinamente tradizionali. Ma è cambiato tutto. Qui e attorno a noi. E il tandem Renzi- Mattarella è figlio di questo tempo, non di un passato che ritorna. Non servono profeti, ma testimoni. L’ha capito anche il Palazzo: colmando almeno un po’ della distanza che lo separava dalla società, dalla realtà. Oggi non nasce la Terza Repubblica e non si torna alla Prima. Oggi cerca di ripartire un’Italia che si riconcilia con gli italiani. Un buon messaggio anche per chi, a queste latitudini, ha a cuore le radici dell’autonomia non meno del suo futuro. Mattarella - subito definito amico dell’autonomia - sarà un arbitro, non un giocatore. Ma avere per arbitro un uomo che conosce bene la specialità e che - pur fra mille polemiche e per un forzato destino - è stato eletto una volta in questa terra, aiuterà. Ma solo chi saprà farsi aiutare.













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