Uccisa dal monossido, 7 indagati

Ala, Ermina Jakupovic morì nel novembre del 2008. L’accusa: omicidio colposo e lesioni colpose


di PaoloTagliente


ROVERETO. La morte di Ermina Jakupovic sembrava una tragedia senza responsabilità. Quel 6 novembre del 2008, la donna si trovava con le nipotine nella casa del fratello Zlatan, a Santa Margherita di Ala: ad ucciderla il monossido di carbonio sprigionatosi dalla caldaia a gas con cui veniva riscaldato l’appartamento. Le due bambine, invece, di 4 e 11 anni erano state salvate in extremis e trasportate alla camera iperbarica. Nei mesi successivi, la Procura di Rovereto aveva indagato per omicidio il fratello di Ermina - e padre delle due piccole scampate alla morte -, proprietario dell’appartamento. Poi, una perizia ordinata dal magistrato inquirente lo aveva sollevato da ogni responsabilità e, a quel punto, l’allora procuratore capo Rodrigo Merlo aveva archiviato tutto.

Lo stesso Zlatan Jakupovic, poco dopo, aveva avviato una causa civile per la richiesta di risarcimento ad eventuali responsabili della morte della sorella. E a questo punto, arriva il colpo di scena. I risultati della perizia affidata ad un altro esperto dal giudice Michele Cuccaro sono diametralmente opposti a quelli cui è giunto quello incaricato dalla Procura. Secondo il perito, infatti, pur a vario titolo, sarebbero ben sette le persone indirettamente responsabili della morte della quarantenne di origine bosniaca. Il giudice ferma il procedimento e invia la nuova documentazione alla Procura. Ora, indagati per omicidio colposo e lesioni colpose aggravate, ci sono l’ex proprietario dell’appartamento, il professionista che nel lontano 1992 aveva installato la caldaia, l’inquilino precedente, il tecnico della Provincia che aveva compiuto le verifiche sull’impianto, il professionista intervenuto per spostare e installare nuovamente l’impianto in un altro punto dell’abitazione, il titolare della ditta che nel corso degli anni aveva provveduto alla manutenzione della caldaia e, infine, lo stesso proprietario, Zlatan Jakupovic appunto.

Tutti, nel corso del tempo, avrebbero avuto in qualche modo un ruolo nel far sì che l’impianto non potesse funzionare regolarmente. All’interno della canna fumaria, ad esempio, proprio in prossimità della presa di areazione, era stato trovato un nido di uccelli che aveva parzialmente ostruito l’apertura, ricoprendo così un ruolo determinante nella tragedia. Ma se la canna fumaria fosse stata costruita a regola d’arte, secondo il perito, avrebbe dovuto essere dotata di una camera di raccolta più in basso rispetto alla presa d’aria e, quindi, gli uccelli non avrebbero potuto in alcun nidificare lì. La caldaia stessa, inoltre, non era più a norma, sprovvista di sistema di sicurezza previsto dalla legge che, nel caso fosse stato rilevato un malfunzionamento, avrebbe immediatamente spento l’impianto. L’appartamento, infine, non era areato come imposto dalla normativa. La sorella di Ermina e le due bimbe sopravvissute si sono costituite parte civile. Ieri, il gup Riccardo Dies s’è preso del tempo per visionare la notevole mole di documenti e ha aggiornato l’udienza al 7 marzo prossimo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano