Trento studia l'«addizionale Ici»

Manovra, primo incontro Provincia-autonomie


Chiara Bert


TRENTO. Dopo mesi trascorsi ad impostare l'addizionale Irpef, il Comune di Trento passa a studiare «l'addizionale Ici». Si potrebbe battezzare così la nuova imposta sui servizi comunali che i municipi trentini potrebbero adottare nei prossimi bilanci. Dopo lo stop della Provincia alle addizionali comunali Irpef, questa possibilità - prevista dallo Statuto - è stata confermata ieri dal governatore Dellai e dall'assessore Gilmozzi nell'incontro con la delegazione del consiglio delle autonomie (oltre al presidente Marino Simoni e ai sindaci di Trento e Rovereto Andreatta e Miorandi, presenti Fravezzi, Caliari, Donei, Nardin e Trotter).

Alessandro Andreatta si mantiene prudente: «È una novità che ho appreso oggi - dice - si tratterebbe di un'imposta sui servizi comunali nelle materie di competenza provinciale, vale a dire trasporto pubblico, impianti sportivi, forse la polizia locale. Da domani cominceremo gli approfondimenti tecnici, certo è meglio per noi intervenire sui patrimoni che non sui redditi da lavoro». Trattandosi di un prelievo su immobili e terreni, spiega il sindaco, «sarebbe un intervento più equo visto che la manovra nazionale ha già penalizzato pesantemente i redditi da lavoro e le pensioni. Ma dovremo verificare se i settori interessasti giustificano un ulteriore prelievo fiscale e soprattutto quanto renderebbe in termini di gettito (con l'addizionale Irpef palazzo Thun contava di incassare circa 3,4 milioni di euro, ndr)». Se il contributo complessivo dei Comuni trentini al patto di stabilità sarà effettivamente quello stimato, 28,5 milioni di euro (l'anno scorso era stato di 14 milioni), per Trento il sacrificio potrebbe ammontare a circa 12 milioni, a cui aggiungerne altri 3-4 da recuperare di mancati dividendi.

Fin qui il capoluogo. Ma la manovra della Provincia, con il contributo al patto di stabilità, riguarda naturalmente tutti i Comuni. Per ora l'ammontare del concorso al miglioramento dei conti pubblici resta stimato a 28 milioni e mezzo di euro. Occorrerà decidere come ripartirli e dal primo confronto di ieri in piazza Dante è parso di capire che coinvolgendo anche i Comuni tra i 2 e i 3 mila abitanti, il rischio è l'apporto al patto di stabilità possa ulteriormente lievitare.

Il consiglio delle autonomie sottolinea «il forte senso di responsabilità» con cui gli enti locali discuteranno le ipotesi avanzate dalla giunta provinciale «considerato l'attuale quadro nazionale e internazionale dlela finanza pubblica e convinti della necessità di orientare sempre più le risorse a favore della crescita». «Condividiamo gli obiettivi - dichiara il presidente Simoni - sui modi per raggiungerli dovremo confrontarci al nostro interno». Il lavoro della commissione del consiglio delle autonomie sarà serrato già dai prossimi giorni: sul tavolo, oltre il nodo della ripartizione, anche le possibilità di leva fiscale, le modalità per i trasferimenti sulla base della «spesa standard» e l'obbligo di gestione associata per i Comuni sotto i 3 mila abitanti. «Ma su questo - avverte Simoni - chiedo che la Provincia ci fornisca i dati e mi dimostri che c'è una convenienza economica».













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