Trento, parla la mamma a cui i giudicihanno tolto il figlio: "Grazie per gli aiuti"

«Grazie a tutti quelli che, in questi giorni, si sono mossi per aiutarmi. Al mondo c’è tanta brava gente». La mamma trentina alla quale è stato tolto il figlio al momento del parto dal tribunale dei minori è rimasta colpita dalla gara di solidarietà



TRENTO. «Grazie a tutti quelli che, in questi giorni, si sono mossi per aiutarmi. Al mondo c’è tanta brava gente». La mamma trentina alla quale è stato tolto il figlio al momento del parto dal tribunale dei minori è rimasta colpita dalla gara di solidarietà scaturita dalla sua storia.
Attraverso il suo legale la mamma ringrazia chi si è mobilitato, ma allo stesso tempo chiede che venga rispettata la sua privacy. Intanto, le offerte d’aiuto non si fermano e s’intravede anche il lieto fine: nel mese di agosto la giovane donna potrebbe riabbracciare finalmente suo figlio.
Il condizionale è d’obbligo, poiché non c’è ancora nulla di certo. Se non il fatto che in questi mesi gli incontri con il perito nominato dal tribunale dei minori sono andati sempre meglio.
Ma facciamo un passo indietro. A gennaio, su segnalazione degli assistenti sociali, il tribunale aveva deciso di sottrarre il figlio alla madre per «incapacità genitoriale» ed avviare la procedura di adottabilità. Decisione presa senza che il giudice avesse mai visto la giovane donna. Solo dopo un mese (a febbraio) c’è stato il primo colloquio. È stato nominato il perito, che ha iniziato una serie di incontri, verificando che la giovane donna non sarebbe poi così «inadeguata». La sentenza dovrebbe esserci prima di Ferragosto ed è probabile che la ragazza possa finalmente riabbriacciare suo figlio. Anche se nessuno potrà ridare loro questi 8 mesi passati lontani.
Intanto, comunque, non si ferma la gara di solidarietà. Il gruppo nato su Facebook è già arrivato a quota 2.000 iscritti. E dopo l’associazione «Salvamamme», che si è offerta di inviare a Trento un camper carico di prodotti per neonati, altre realtà si stanno mobilitando. È il caso dell’associazione «Papa Giovanni XXIII» che attraverso il responsabile della comunità di don Benzi, Giovanni Paolo Ramonda, offre la disponibilità ad «accogliere la mamma e il suo bambino in una delle nostre 253 Case Famiglia italiane. Il rapporto madre-bambino - continua Ramonda - è troppo importante per essere infranto senza le opportune verifiche e separarli alla nascita è un atto di estrema violenza».
Ieri sulla vicenda è tornato anche Giuseppe Raspadori, lo psicoterapeuta che martedì scorso aveva sollevato la questione. «Non ho mai detto che il bambino è stato sottratto per questioni economiche. Il mio obiettivo - ha specificato Raspadori - non era quello di fare emergere un caso limite come questo, nel quale il tribunale dei minori di Trento ha in ogni caso agito contro natura giudicando la madre «inadeguata» quando era ancora legata a suo figlio col cordone ombelicale, ma per denunciare il sistema sbagliato attraverso il quale spesso si valutano queste situazioni. Invece di partire nella valutazione da come sta il bambino, si giudica il profilo psicologico della madre e da questo si valuta o meno la «capacità genitoriale», che è un falso scientifico, poiché non è riportata in alcun manuale di psicologia. In questo modo si rischia di togliere troppi bambini alle loro madri. E questo - ha concluso lo psicoterapeuta - è mostruoso».

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