Trento, migliaia ad ascoltare Saviano"La Ndrangheta voleva le mele trentine"

Auditorium stracolmo per la lezione dello scrittore napoletano che ha chiuso il festival dell'economia, centinaia di giovani anche davanti ai maxischermi montati nelle piazze


Ubaldo Cordellini


TRENTO. «La ’ndrangheta dell’Aspromonte aveva messo gli occhi sulle mele trentine». Un annuncio più choc Roberto Saviano non poteva farlo. Davanti a quasi mille persone che gremivano l’auditorium Santa Chiara lo scrittore anticamorra ha dato un esempio della pervasività delle mafie. Citando atti di un’inchiesta calabrese ha rivelato che il prodotto più tipico del Trentino stava per finire sotto il controllo del crimine organizzato.
Davanti al pubblico rimasto a bocca aperta, l’autore di Gomorra ha continuato: «Esponenti della’Ndrangheta con la complicità di mediatori trentini si sono dati da fare per gestire la distribuzione delle vostre mele». Un esempio per dire che la mafia, le mafie, non sono solo morti ammazzati, droga o racket. Le mafie fanno affari. Comprano dove gli altri hanno paura e ripuliscono il frutto dei loro sporchi traffici anche servendosi di aziende insospettabili come Fastweb, sempre se le ipotesi delle procure fossero vere.
La rivelazione sulle mele a rischio mafia ha lasciato a bocca aperta i trentini, ma non è stata la sola. Del resto, già la vista del palco blindato con i carabinieri della scorta a ogni angolo con tanto di auricolare e fondina alla cintura, già dava l’idea della vita che è costretto a condurre, alla faccia di chi, come Emilio Fede, dice che si fa solo pubblicità. Saviano era arrivato verso le cinque e mezzo a bordo di una Subaru blindata. Jeans e camicia neri, la faccia stanca ma sorridente, ha parlato per un po’ con il presidente Lorenzo Dellai e con gli organizzatori del Festival. Poi è salito sul palco dove è stato accolto da un applauso scrosciante. Ha subito spiegato di avere un legame con Trento perché sua madre è nata qui.
Il passaggio dai ricordi all’attualità è stato brutale. La crudezza della realtà è come un pugno nello stomaco: «Ogni anno le mafie hanno un profitto di 100 miliardi di euro». Saviano spiega che i vecchi cliché coppola e lupara non vanno più bene da un pezzo: «Non sono solo criminali. Un boss è un imprenditore che usa il crimine, non un delinquente che poi diventa imprenditore». Imprenditori che fanno soldi anche con la crisi. Anzi, che con la crisi prosperano: «Dalla crisi le organizzazioni criminali ricavano più potere. L’Onu di recente ha detto che i soldi del traffico di droga stanno entrando nelle banche, le cui casse sono stremate dalla recessione. E questo permetterà loro di influenzare le scelte al momento della ripresa. Saranno le mafie a dire quali imprese finanziare».
E ancora: «Là Ndrangheta ripuliva, se quello che dicono le inchieste è vero, miliardi di euro in Fastweb, una delle più grandi compagnie telefoniche europee. Eppure i giornali ne hanno parlato pochissimo». Saviano spiega che proprio l’informazione è uno dei punti dolenti: «Tutte queste storie escono a pezzetti. Il mio libro è stato pubblicato quando c’era la faida di Scampia che faceva più morti che a Bagdad. Per questo se ne è parlato parecchio». Però, non appena certi temi superano il confine delle pagine di cronaca nera c’è la calunnia in agguato: «Quando parli di queste cose c’è sempre qualcuno pronto ad accusarti che speculi sulla sofferenza del tuo paese. All’inizio ci crede solo Emilio Fede, ma poi questa cosa si diffonde». Nonostante tutto, però, lui non molla: «E’ fondamentale sognare un paese diverso». Cambiare, però, dipende da ciascuno di noi: «Parlare di omertà a Trento fa sorridere, ma la vera omertà è non voler conoscere».

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