Trento Funivie, pagano i trentini

Il buco della famiglia Bertoli si trasforma in un costo per l’erario. Con la benedizione di Schelfi


di Roberto Colletti


TRENTO. Alla fine è successo ciò che era prevedibile. Trento Funivie, società da sempre in perdita permanente ed effettiva, è stata rifilata ai contribuenti trentini. L'ultimo buco, tanto per dare l'idea, è di 2 milioni di euro. La singolare, ma non troppo, transazione trasforma quelli che erano i passivi e i rischi della famiglia Bertoli, delle Casse Rurali e di altre banche in un costo certo per l'erario provinciale. Il tutto su iniziativa della Funivie Folgarida Marilleva (Ffm) di Diego Schelfi con la benedizione e l'elargizione di 6 milioni di euro della Provincia. La sintesi della faccenda è un po’ brusca, ma le cose sono andate proprio così. Vediamo come.

Il 6 luglio scorso Fulvio Rigotti, presidente e amministratore delegato di Trento Funivie, apre l'assemblea per l'approvazione, in via ordinaria, dello stato patrimoniale al 25 giugno 2012 e, in seduta straordinaria, per ridurre il capitale sociale per azzerare le perdite e, contestualmente, ricapitalizzare la società. Fin qui nessuna sorpresa, l'azienda è strutturalmente in rosso, non ha quattrini e vorrebbe realizzare nuovi impianti di risalita. Lo stravagante progetto industriale ha un qualche senso solo perché s'inserisce nell'altrettanto faraonico piano territoriale per il decollo del Bondone come stazione turistica.

I soci di Trento Funivie - la controllante Ffm (52%), Trentino Sviluppo (32%) e Comune di Trento (16%) - preso atto che le perdite degli anni scorsi ammontano a 950.000 euro, cui s'aggiungono 1,2 milioni di euro dell'ultima stagione, per ripianare il passivo riducono il capitale da 7.225.000 a 5.075.000 euro. Operazione a termini di legge non necessaria - le perdite non superano il terzo del capitale sociale - ma utile per scaricare, una volta per tutte, la società in perdita nelle tasche dei contribuenti. Il successivo aumento di capitale di 6 milioni, infatti, potrà avvenire sia in contanti, sia mediante compensazione di crediti dei soci nei confronti di Trento Funivie.

Il balletto contabile che segue ha una sua eleganza: Diego Schelfi per Ffm dichiara di sottoscrivere un numero di azioni corrispondente al suo credito nei confronti della società controllata per 384.000 euro (spiccioli, come si vede); il Comune di Trento, con l’assessore Fabiano Condini, dopo essersi astenuto su riduzione del capitale e ricapitalizzazione, si limita a passare la mano; solo Trentino Sviluppo mette mano al portafoglio, versa 1,6 milioni di euro in contanti e s’impegna a sottoscrivere ulteriori quote sino a 6 milioni entro il 25 agosto, il tempo necessario per calcolare il valore del bacino idrico e dell’affitto della condotta che da Mezzavia porta in quota l'acqua per i cannoni da neve, entrambe opere di sua proprietà. Quel valore, certamente oltre i 3,5 milioni, verrà trasformato in azioni ordinarie e privilegiate di Trento Funivie.

Si tratta di un super finanziamento pubblico, in definitiva, che trasforma in ulteriore partecipazione azionaria le opere che Piazza Dante ha realizzato negli anni per mantenere in piedi il sogno di una stazione turistica mai decollata. E che muta gli equilibri societari: al perfezionamento di questo balletto la quota della Provincia passerà al 57,84%, quella del Comune calerà all’8,28% e Ffm si attesterà al 33,88%. Il gioco è fatto: la società da privata diventa pubblica, la Cooperazione si sgrava di un passivo certo, le perdite vanno in conto all’erario.

Ci si può chiedere come mai Trentino Sviluppo, già inguaiata per il finanziamento - che la procura di Rovereto valuta essere una dissipazione di risorse pubbliche - dell'ex salumificio Marsilli, si sia lanciata in un'operazione, se non proprio eguale, per lo meno simile. Visto il contenzioso si deve ipotizzare che l'azionista di Trentino Sviluppo - la Provincia - abbia dato indicazioni in tal senso. La risposta a questa domanda, tuttavia, non si trova là dove è naturale cercarla, in una delibera della giunta provinciale. E' perciò ragionevole pensare che la disposizione (leggasi: l'ordine) sia stato formalizzato in un conchiuso di giunta, atto non destinato alla pubblicità. Riservatezza, ultima frontiera dell'imbarazzo?

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