TRAGEDIA IN PATAGONIAIl Cerro Torre uccide ancoraMuore Fabio Giacomelli

Un alpinista trentino, Fabio Giacomelli, 51 anni, è stato travolto e ucciso da una valanga sul Cerro Torre, una delle cime più affascinanti e impegnative della Patagonia. A dare la notizia è stato il suo compagno di spedizione, Elio Orlandi, 55 anni, anche lui trentino. LA SCHEDA  Il Cerro Torre e il mistero di Cesare Maestri | VIDEO Orlandi ricorda Cesarino Fava | LEGGI  Dieci giorni fa la tragedia del Pordoi



TRENTO. Oggi non arriverà. Nessun caldo abbraccio alla moglie, nessun bacio affettuoso ai figli dopo tanta fatica appeso nel vuoto. Il corpo di Fabio Giacomelli - in attesa del recupero - riposa in un anfratto del ghiacciaio andino Campo de hielo sur, dopo l’enessima tragedia che ha colpito il mondo dell’alpinismo trentino alle pendici del mitico Cerro Torre. Giacomelli, 51 anni, è stato travolto da una valanga il primo gennaio. A ritrovarlo il compagno di cordata Elio Orlandi.
 Proprio come il fraterno amico Fabio Stedile - notissimo alpinista trentino morto in Patagonia nel 1994 - anche Giacomelli ha dovuto dire addio ai suoi sogni laggiù, in quel luogo sferzato da venti gelidi, tanto ostile per l’uomo quanto denso di fascino per gli alpinisti attratti dal richiamo dell’impossibile.
 L’incidente è avvenuto il primo di gennaio, ma solo tre giorni più tardi ne è giunta notizia in Italia. Ad annunciarla è stato Elio Orlandi, 55 anni, l’alpinista di S.Lorenzo in Banale tra i più grandi conoscitori del «Torre» al mondo. Per tre giorni Orlandi ha cercato il corpo del compagno, scavando nella neve con le mani, spinto solo dalla forza della disperazione. Quando la sua sonda - infilata invano nella neve ormai mille volte - ha trasmesso in superficie un suono sordo Orlandi ha capito: lì sotto c’era Fabio. E’ bastato scavare ancora un po’ per trovare prima uno scarpone e poi, purtroppo, il cadavere.
 Ma l’impresa alpinistica e umana di Orlandi (che vale quanto e forse più della conquista della vetta) non era finita lì. Se il corpo di Giacomelli non fosse stato rimosso, in breve la fitta nevicata lo avrebbe ricoperto. A Orlandi non è rimasta altra scelta che caricare il cadavere e affrontare la discesa. Ore di cammino - solitario e angosciante - fino alla zona lontana dai crepacci dove Elio ha accomodato il corpo in un iglù e si è messo in salvo a El Chalten, il minuscolo villaggio montano che sorge alle pendici del ghiacciaio.
 I due alpinisti erano partiti dal Trentino alla fine di novembre. Nel 2006, insieme, avevano cominciato ad aprire una nuova via sulla parete est dell’amato Cerro Torre e lì, su quella linea ardita, volevano tornare per giungere finalmente alla cima. Nel 2009 la loro avventura aveva trovato un nuovo senso dopo la scomparsa di Cesarino Fava, amico di Orlandi e membro della discussa spedizione al Torre del 1959. «Portiamo le ceneri di Cesarino in vetta e disperdiamole al vento». Questo il sogno dei due alpinisti che - qualche mese fa - erano riusciti a nascondere in un anfratto dell’immensa parete est l’urna con le ceneri di Fava, un posto sicuro in attesa di tornare lassù per proseguire la salita.
 I primi di dicembre Orlandi e Giacomelli hanno approfittato di una finestra di tempo stabile per progredire con la salita. Ormai alla vetta mancavano circa 150 metri, ma le fitte nevicate e i venti gelidi si erano messi di traverso impedendo di proseguire. I due alpinisti, quindi, sono rientrati a El Chalten per fare ritorno in parete il 27 dicembre. Le condizioni meteo, però, si sono rivelate ancora avverse. Di qui la decisione di riprendersi il materiale e tornare in paese. La discesa dalla parete era ormai terminata. Giacomelli aveva già messo i piedi a terra quando una grossa valanga si è staccata sopra di lui, travolgendolo. Lascia la moglie Silvana e i figli Alessio e Deborah cui aveva di recente dedicato una via sulle pareti del Limarò: «Mitica e Nocciolina».













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