Tentata estorsione: chiesti 15 mesi 

Il processo all’ex manager Itas. Il pm ha chiesto la condanna dell’ex direttore generale della Mutua Ermanno Grassi anche per la calunnia contro Alessandra Gnesetti e il falso relativo ad una multa stradale per eccesso di velocità. Per la donna la richiesta è di una pena di 15 giorni



Trento. Un anno, tre mesi e 15 giorni. Questa la richiesta di condanna avanzata dal pubblico ministero Carmine Russo per Ermanno Grassi, l’ex direttore generale dell’Itas a processo per tentata estorsione (nei confronti dell’ex presidente di Itas, De Benedetto), falso (per una multa stradale) e calunnia (nei confronti di Gnesetti). 15 giorni la richiesta di condanna per Alessandra Gnesetti imputata per il falso e parte civile per il filone della calunnia.

In origine il processo riguardava anche una serie di presunte truffe contro Itas stessa. E la società inizialmente si era costituita parte civile con una richiesta di risarcimento pari a due milioni di euro che avrebbero dovuto coprire sia i danni patrimoniali che quelli di immagine. Ma il colpo di scesa della fine del luglio scorso, ha cambiato le carte in tavola. Itas, infatti aveva comunicato di aver raggiunto un accordo economico con Grassi, in virtù del quale aveva ritirato la sua querela. E senza querela sono cadute anche le cinque ipotesi di truffa. Togliendo un capitolo sostanzioso dal processo ed eliminando tutti gli imputati che erano accusati di esser stati parti delle presunte truffe. Fuori quindi dal procedimento Roberto Giuliani, titolare della ditta Target che riforniva di gadget l’Itas, Gabriele Trevisan, titolare della Point car, l’azienda di autonoleggio, l’ex dirigente Itas Paolo Gatti. Cadute le accuse di truffa anche, naturalmente per lo stesso Grassi e per Gnesetti. Che però sono rimasti imputati per gli altri capi d’accusa e con posizioni diverse, in un caso anche contrapposte.

Il pm nella sua requisitoria ha sostenuto tutte le accuse mosse, partendo da quella più pesante che è il tentativo di estorsione. Ricordiamo che su questo punto era stato sentito come testimone anche il presunto estorto ossia l’ex presidente di Itas Giovanni Di Benedetto. Che in aula, rispondendo alle domande aveva spiegato di non aver subito nessun tentativo di estorsione. Parole che però non hanno cambiato l’impianto accusatorio. Secondo il pubblico ministero, infatti, Grassi si era mosso assieme ad un investigatore privato per cercare “la prova”. Una “prova” che sarebbe dovuta servire per mettere fine ad clima teso all’interno di Itas e - sostiene l’accusa - per garantire il posto da direttore generale di Grassi che in quel periodo (siamo nel marzo 2016) si sentiva in bilico. Una “prova” che sarebbe stata raccolta ma poi - sarebbe emerso dall’indagine portata avanti dai carabinieri del Ros - non sarebbe stata utilizzata per decisione dello stesso Grassi. «Non scendiamo a questi livelli» sarebbe stata la frase utilizzata da Grassi stessi, come ha spiegato il pm ieri in aula. Un tentativo incompiuto di estorsione che secondo l’accusa sarebbe parificabile al tentativo compiuto. La requisitoria si è conclusa quindi le richieste di condanna: un anno e tre mesi per Grassi per la calunnia e la tentata estorsione e 15 giorni per il falso. Stessa pena, limitatamente al falso, è stata chiesta anche per Alessandra Gnesetti, presente ieri in aula come ha fatto in tutte le udienze precedenti.

Ha poi preso la parola l’avvocato Beniamo Migliucci, difensore di Alessandra Gnesetti che ha chiesto l’assoluzione per il falso. Legato ad una multa per eccesso di velocità che sarebbe stata intestata alla donna quando - sostiene l’accusa - alla guida di quella macchina ci sarebbe stato Grassi. Sulla calunnia, per la quale Gnesetti è parte civile e che nasce da delle fattura per i servizi di assistenza in favore della madre di Grassi che sarebbero state pagate da Itas, Migliucci ha evidenziato come l’attendibilità di Gnesetti sia comprovata e che Grassi, quando l’ha denunciata, sapeva che la donna stava dicendo la verità.

Il processo è stato quindi rinviato per l’arringa di Matteo Uslenghi, difensore di Ermanno Grassi. Che ieri in aula ha solo abbozzato la linea difensiva tesa a dimostrare come il suo cliente non ha fatto nulla di cui è stato poi accusato.













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