Il giudice al Liceo Da Vinci 

Spataro agli studenti «Reagite alle falsità»

trento. «Il dottore è uno dei magistrati che hanno costruito la storia contemporanea - spiega Alberto Conci, prof al Da Vinci – è in pensione da poco più di un anno…». E lui, scherzando: «Poco meno,...


Jacopo Strapparava


trento. «Il dottore è uno dei magistrati che hanno costruito la storia contemporanea - spiega Alberto Conci, prof al Da Vinci – è in pensione da poco più di un anno…». E lui, scherzando: «Poco meno, non aggraviamo la situazione». «È anche un grande sportivo, allenava una scuola di pallanuoto e ha corso la maratona fino a…». «…fino a quindici chili fa».

È un mattatore, il dottor Spataro. Nell’aula magna del liceo Da Vinci, che lo ha invitato a Trento, Armando Spataro, 71 anni, tarantino, pm famoso per le indagini su BR, mafia e terrorismo, parla agli studenti. Decisamente schierato a sinistra, ha votato No al referendum di Renzi del 2016 e di recente ha polemizzato con Salvini (il capitano aveva tuittato «A Torino 15 mafiosi nigeriani sono stati fermati dalla Polizia», Spataro lo accusò di aver compromesso le indagini). E anche qui, per la cronaca, non evita la questione: «L’immigrazione è stata affrontata in modo barbaro». E dice ai ragazzi: «Bisogna reagire alle falsità che ci sono state raccontate e che, speriamo, non ci vengano raccontate più».

Spataro è il secondo ospite di una serie d’incontri organizzati al Da Vinci, cominciati con Benedetta Tobagi). Parla dal palco, davanti a quasi 200 studenti. Si toglie la giacca. Ha un portamento solenne. Di sicuro, è un ottimo oratore: dosa il suo discorso con una serie di battute (i ragazzi scoppiano a ridere quando racconta del sindaco leghista di Treviso, che per la polizia voleva solo cani italiani: «Io avevo un pastore tedesco, ero preoccupatissimo»). Ma è terribilmente serio quando racconta la sua vita, così simile a un romanzo. Dei suoi inizi, a Milano, con il processo a Renato Curcio (era così in gamba che il giudice suo superiore, messo lì a fargli da tutor, gli disse: «Ma tu da piccolo giocavi a fare il pm?»). Di quando i giudici popolari si davano malati per paura di essere ammazzati («Dicevano di combattere lo Stato imperialista delle multinazionali, sparavano anche agli infermieri»). Di quando ha indagato sull’evoluzione della mafia al Nord: cominciavano con il traffico di bergamotto dalla Costa Azzurra («Serve a fare profumi da donna, io nemmeno sapevo cos’era!»), poi passavano al contrabbando di sigarette, alle rapine, all’usura, alla droga, al traffico di rifiuti fino all’edilizia. È fiero, il giudice, quando parla dell’approccio italiano al terrorismo islamista («Gli americani praticavano la tortura e i rapimenti, da noi è impensabile derogare ai diritti umani»). E riesce a elettrizzare i ragazzi quando lancia un appello ad accogliere i rifugiati, citando, a fianco della Convenzione dei Diritti dell’Uomo e della Costituzione, i Pink Floyd e Manu Chao. Gli studenti gli tributano scroscianti applausi. Poi, quando è tutto finito, un gruppetto gli si avvicina e chiede: «Lei ha mai temuto per la sua vita?». Lui: «Una volta mi mandarono via posta, dalla Spagna, degli scarafaggi velenosi dei Pirenei. Non erano mortali, ci siamo messi a schiacciarli con i carabinieri. I proiettili che mi mandavano nelle lettere, li collezionavo. Nessun giornale l’ha mai saputo».













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