uomini e orsi

«Se voi difendete gli orsi, noi vogliamo gli squali nel mare di Jesolo» 

Monica Brunelli, allevatrice nonesa, vive in un maso a Proves: "Per anni ci hanno detto che non c'è pericolo, ma noi li conosciamo. Si umanizzano gli animali e si toglie dignità all’uomo. L’orsa si chiama “Gaia” e Andrea Papi il runner»


ANDREA TOMASI


TRENTO. «Voglio gli squali a Jesolo. Sì, credo sia giusto portare gli squali nel mare di Jesolo. Se chi non ha a che fare tutti i giorni con lupi ed orsi viene interpellato e parla di fauna selvatica sulle nostre montagne, io posso tranquillamente parlare di come gestire le coste dell'Adriatico». Ha il gusto della provocazione Monica Brunelli, ospite nei giorni scorsi al convegno sui grandi carnovori al Palazzo della Regione. Brunelli, trentina della Val di Non, vive in Alto Adige, a Maso Nöder, poco distante dal confine con la Provincia di Trento e vicino agli orsi che non conoscono confini e bilinguismo.

Con gli orsi convive e parla della propria esperienza, di cosa significa vivere a contatto con la fauna selvatica. «Gli orsi che arrivano qui sono quelli trentini. A gestirli sono sia i Forestali della Provincia di Trento, sia quelli altoatesini». C'è rabbia nelle sue parole. La morte di Andrea Papi, sbranato da un plantigrado sul Monte Peller, viene descritta come un elemento di deflagrazione di una bomba ad orologeria. La tensione era già altissima e l'eco mediatica, a livello nazionale e internazionale, ha fatto il resto.

Brunelli vive a Proves in Alta Val di Non, assieme al marito: una famiglia numerosa (4 figli, di 31, 27, 18 e 14 anni) che ha sempre vissuto di agricoltura e allevamento. «Abbiamo dieci capi bovini, dei maiali e le galline». Lei è la rappresentante regionale dell'Associazione italiana Razze autoctone a rischio estinzione (Rare), nonché responsabile del Progetto di recupero delle galline autoctone. «Vivo e lavoro qui da 34 anni (il Maso ha una storia che affonda le radici nel 1300,ndr). Fino a qualche tempo fa questa era una zona tranquilla. Non c'era il problema dei maschi di orso in movimento che minacciano gli alpeggi. E adesso il problema c’è eccome. Poi c'è la questione delle femmine coi cuccioli, che chiaramente diventano più aggressive. Non posso accettare che chi vive in città, nel cemento, in zone che prima erano paludi, venga ad insegnare a noi come comportarci. Non mi sta bene che si permettano di insultarci. Nella migliore delle ipotesi ci viene detto che siamo "contadini che non capiscono niente"» E nella peggiore? «Che siamo degli odiatori della natura».

La morte di Andrea Papi, come detto, ha aumentato l'attrito tra due universi: quello di chi vuole proteggere i plantigradi e quello di chi, vivendoci a stretto contatto, li vuole eliminare. «Non importa come. Portarli altrove? Va bene. Abbatterli? Va bene (Tar permettendo). Non importa come, ma chi ha creato il problema deve anche risolverlo. Si chiama “abbattimento selettivo” . Quando gli orsi diventano invadenti devono essere trattati al pari di qualsiasi altro animale: si eliminano. E non è possibile che gli allevatori e, in generale, la gente che vive in montagna siano trattati come un fastidio. Noi siamo “i giardinieri di questo paradiso” e non penso che meritiamo il trattamento che invece ci è stato riservato». E nel giardino, in paradiso, non c’è posto per gli orsi? «Non quando diventano un pericolo».

Dall’altra parte c’è il mondo di chi sta “con gli orsi” (ormai 110 i plantigradi presenti in Trentino). Su un unico punto c'è convergenza: sia gli animalisti sia gli allevatori ritengono che il progetto Life Ursus, di reintroduzione degli animali, sia stato mal gestito dal “giorno uno”. E la mala gestio degli orsi - dice - riguarda tutti: introdotti con l'amministrazione provinciale guidata da Carlo Andreotti, hanno visto succedersi le giunte di Lorenzo Dellai, quella di Alberto Pacher e quella di Ugo Rossi e ora di Maurizio Fugatti. Le lamentele di pastori, allevatori e contadini delle "zona calde" non sono di oggi.

«Ci sentiamo inascoltati da tanto, tanto tempo. Ma sapete cosa vuol dire abitare in un paese di montagna? Un mese fa mio figlio era fuori col trattore. Era mattina presto. Con i fari ha illuminato un'orsa che correva verso il maso. Ci ha telefonato per dirci di restare chiusi dentro. Poi si è visto che lei non era da sola. C'erano anche le tracce del suo cucciolo». Racconta della preoccupazione per la sicurezza di bambini e ragazzi. «Prendiamo l'abitato di Proves, 260 abitanti. C'è la chiesa, c'è il Comune, ci sono alcune case, ma la maggior parte delle abitazioni sono masi sparsi. Noi non abitiamo nel bosco ma abbiamo il bosco tutto attorno». Dice che c’è in ballo anche una componente psicologica di cui non si sta tenendo conto: la paura. «Il mio figlio più piccolo la mattina scende a valle in bicicletta per mezzo chilometro. Lascia la bici alla fermata e prende l’autobus che lo porta a scuola a Lauregno. Qui si vive così. Cosa facciamo con i nostri figli? Diciamo loro: “Ti portiamo noi e ti veniamo a prendere noi?” Li facciamo vivere nella paura? Ed è giusto? L’altro mio figlio, quello che oggi ha 18 anni, quando ne aveva 8 l’orso se l’è trovato a 20 metri di distanza. Ci sono ragazzi più grandi, che vanno a scuola a Merano, che si ssvegliano presto al mattino. Prendono il pullman Per arrivare alla fermata si fanno 200 metri o mezzo chilometro a piedi. Stessa cosa quando fanno ritorno a casa il pomeriggio o la sera».

Monica Brunelli parla di un rapporto non facile con i Forestali trentini «che per anni hanno continuato a dirci che non c’è pericolo, ma noi viviamo qui e gli orsi vediamo come si comportano. Potremmo dire che c’è una co-gestione dei Forestali della Provincia di Trento con quelli della Provincia di Bolzano o, per essere più trasparenti, potremmo dire che c’è una non-gestione». A chi le dice che c’è anche la responsabilità dell’uomo, che ci sono cacciatori che collocano le magiatoie al limitare del bosco, vicino alle zone abitate e che quindi gli orsi, che cercano cibo, per forza di cose si avvicinano, lei riponde che il problema va oltre e che tutto dipende dalla concentrazione di animali: «Guardi, noi non siamo cacciatori e gli orsi ce li troviamo veramente vicini . Il problema sta a monte. Andatevi a leggere il rapporto iniziale del progetto Life Ursus. C’è un punto, mi pare a pagina 64, in cui c’è scritto chiaramente: “Possono esserci problemi di aggressione all’uomo”. Io mi chiedo chi umanamente può accettare un rischio come questo. Io dico che la gente deve iniziare a capire e magari smetter di descriverci come quelli che vogliono indossare la pelliccia di orso. Noi non siamo ascoltati dalla politica e non da oggi, da sempre. Io chiedo che si recuperi un po’ di umanità. E invece che succede? Si umanizzano gli animali e si toglie dignità all’uomo. Sui titoli dei giornali e nei Tg l’orsa si chiama “Gaia” e Andrea Papi, che è morto, lo si chiama “il runner”... il runner, capito? Quelli che dicono che siamo noi umani il problema, vengano ad abitare qui per qualche anno. Vedete come cambiano idea in fretta».

 













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