Scuola, politica e magistratura: il seme del male non muore mai 

La crisi delle istituzioni. Il dialogo tra giornalista e avvocato su un momento storico che mostra crepe visibili in tutti i pilastri sui quali si regge la società: «Quanto sta accadendo evidenzia sintomi  preoccupanti di aspirazioni autoritarie, spesso di colorazioni diverse»


Alberto Folgheraiter


Trento. Al di là del bene e del male. Anzi, dentro il male che attraversa gli individui e con essi la società. Che coinvolge le Istituzioni e che mina la credibilità delle stesse. Che lascia attoniti, perché il pendolo della sospensione del tempo e della clausura forzata hanno alimentato spinte populiste e fatto balenare rigurgiti di sopraffazione. A molti livelli.

Dialogo agostano fra un cronista alla soglia della terza età e un celebre avvocato, un principe del foro di Trento. Dialogo per ragionare a voce alta, senza alcuna pretesa di dare lezioni a chicchessia, con l’unico scopo di capire che cosa sta accadendo attorno a noi. Dialogo tra due punti di vista culturali diversi: per origine, formazione e percorso professionale su un tema terribile e affascinante: il male e le sue forme.

Adolfo de Bertolini (1944) è un avvocato penalista che si è confrontato con il male e la sofferenza generata dal male per cinquant’anni: nelle aule di tribunale, nelle carceri, nei colloqui con gente disperata. Alberto Folgheraiter (1952) è un giornalista che il male lo ha raccontato sulle pagine dei giornali, alla RAI, nei libri che ha scritto. Spesso visto dalla parte degli sconfitti: della cronaca e della storia.

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Af.Dal “non faremo prigionieri politici” dell’ex ministro Previti, alla ghigliottina e le teste da far rotolare nella Pubblica amministrazione, frase di un candidato sindaco di Trento. Che brutta aria, che nostalgie striscianti di regime.

AdB. La frase mi pare davvero orribile e per un certo verso mi fa pensare alla invincibilità del male. Quel male che si è già tragicamente espresso e credo continuerà ad esprimersi nel potere politico quando venga perso di vista il fine fisiologico che lo stesso dovrebbe avere. E cioè, un ordinamento che rispetta le libertà e che si pone a servizio della collettività. Ad esempio, oltre alla violenza di genere, c’è un male sociale che non è frutto del “sonno della ragione”, bensì della possibile razionalità del male. Male, che nella parte più aberrante, è sfociato nei genocidi. Il Novecento è lì, dietro l’angolo, a pungolare la memoria degli smemorati. Ma ciò che sta accadendo adesso evidenzia sintomi davvero preoccupanti di aspirazioni autoritarie, spesso di colorazioni diverse.

Af.Probabilmente si deve partire da lontano, dal mondo della scuola che è stato colpevolmente lasciato franare sotto i colpi della contestazione studentesca di mezzo secolo fa; delle promozioni collettive, di riforme maldestre e sbagliate, del populismo un tanto al chilo, dell’uno uguale a uno, dello studio e della meritocrazia relegate nei cassetti delle robe vecchie. La diffusione della conoscenza, il diritto allo studio, anziché favorire l’ascensore sociale ha livellato al ribasso l’apprendimento e il merito. Gli insegnanti, che un tempo avevano credibilità, sono stati depauperati di autorevolezza e di stipendio. Per anni si è lasciato germogliare il sospetto che l’insegnante avesse scelto la scuola solo perché non aveva altri mestieri da fare. I genitori degli “asini” sono diventati i primi demolitori della classe insegnante, pronti a ricorrere all’avvocato prima che al ceffone dato al figlio fancazzista. Poi, certo, ci hanno messo del loro anche taluni insegnanti, incapaci di svolgere degnamente l’importante compito. Siamo arrivati all’oggi, con chi dice che la scuola in fondo serve a poco perché anche gli ignoranti sono ben rappresentati nelle istituzioni. Anzi, la cultura non serve. L’ignoranza è la benvenuta, perché meno si conosce, meno problemi ci si pongono e meno problemi si sollevano. L’uomo della Provvidenza gongola, dietro l’angolo, pronto a risolvere tutto. Perché oggi facciamo fatica a trovare una classe dirigente degna di un titolo onorevole?

AdB. La spinta libertaria di cui il Movimento studentesco fu portavoce (interprete/espressione/strumento?), voleva superare l’autoritarismo e conquistare una maggiore libertà. Purtroppo molte giuste istanze finirono spiaggiate nella baia delle contraddizioni non componibili. Ma torniamo ora al “far rotolare le teste”. Ciò che mi ha fatto davvero impressione è proprio il linguaggio usato, anche se poi qualcuno potrà dire che si è trattato di una metafora ma “far rotolare le teste” è un’affermazione sintomatica di aspirazione/tendenza autoritaria e di minaccia. Si tratta di un linguaggio arrogante che, in chi non lo condivide e confido siano la maggioranza, fa venir meno la credibilità delle istituzioni.

Af. Le quali, quanto a credibilità, nelle scorse settimane hanno subito qualche smottamento non ancora arginato.

AdB. Vale la pena di parlarne oggi, dopo i recenti fatti accaduti all’interno di una parte, certamente minoritaria ma apicale, della Magistratura. La perdita di credibilità nelle Istituzioni presta il fianco ad ambizioni populiste e autoritarie. Tanto più gravi in questo nostro momento dove già sono emersi altri sintomi, per chi conosce la Storia, di cedimento democratico. E, infatti, è già stato inventato un nemico, in questo caso gli immigrati. Così come si è tragicamente manifestato nel cosiddetto secolo breve, quando il nemico erano gli ebrei e i diversi.

Af. Quello che ci siamo lasciati alle spalle, più che un “secolo breve” è stato un secolo violento, e come figli di quel secolo non abbiamo saputo farci carico più di tanto di quanto accaduto anche se, in buona parte, fu poi riparato dai Padri fondatori della Costituzione Italiana. Forse abbiamo dimenticato la Storia. Ma la Storia insegna qualcosa?

AdB. La storia e la memoria: ritengo non siano altro che un archivio di eventi in sequenza. Non credo che la storia possa insegnare, magari questo fosse possibile, ma ciò che è imperdonabile è il non conoscerla.

Af. Il problema è che non la si studia o la si insegna poco. Forse perché la conoscenza del passato potrebbe mettere in discussione molte certezze del presente, molte arroganze, molte attese di un nuovo Messia: che dia lavoro a tutti, risolva la crisi che non è solo economica ma soprattutto valoriale; che ci faccia vivere nel Paese dei balocchi.

AdB. Tu parli iconicamente di Messia, e si detto e cantato (Guccini/Nomadi) che ad Aushwitz “Dio è morto”. Da laico, io spero non sia mai nato, perché non avrebbe consentito il paradigma del genocidio. E tutto questo ci porta a chiederci se il male sia alieno o sia connaturato nell’uomo.

Af. A chi è cristiano hanno insegnato fin da piccolo che, alla nascita, ogni uomo è portatore di una maledizione, il cosiddetto “peccato originale”. Che si “lava” con il battesimo. Sennò, dicevano, si finisce nel Limbo, una sorta di area di parcheggio eterna dove non vedi Dio ma non sei nemmeno inforcato dal demonio. Poi papa Ratzinger, già depositario dell’interpretazione della Dottrina della Fede, ha detto che no, il Limbo è una sorta di invenzione medievale e che, a ragion di logica, non esiste. Resta che il male resiste, comunque.

AdB. Credo ci sia una sorgente, un’origine che lo rende perenne e possibile e ne dispiega tutta la sua virulenza: la brama e la frenesia di supremazia. Lo strumento che la veicola è il potere. C’è un male privato che, ad esempio nella violenza di genere, si sprigiona nell’incapacità del partner di considerare la persona che si ha accanto come un essere libero e la si interpreta come proprietà privata. E poi c’è un male collettivo che si alimenta nel malessere sociale ed economico e viene tempestivamente quanto abilmente pilotato da chi tende al potere assoluto.

Af. A proposito di poteri, nella Magistratura si sono manifestate apertamente crepe e lotte intestine già presenti in correnti politicamente orientate.

AdB. Chiediti perché una parte, certamente minoritaria ma apicale, della Magistratura sia diventata uno strapotere tale da non essere più credibile.

Af. Tutto questo accompagnato da una situazione economica esasperata e disperata, senza tralasciare il tema dell’invenzione del nemico che fa sempre gioco nei tempi della crisi.

AdB. I Padri costituenti avevano disegnato una Carta e ideato i bilanciamenti tra i poteri dello Stato. È in atto, e non da oggi, una strisciante guerra fra Poteri, e tutti ne escono con perdita di credibilità. Ma ciò che più mi allarma è la attuale immagine che una parte della Magistratura dà di sé stessa.

Af. In questi ultimi decenni abbiamo assistito agli Osanna e ai Crucifige che duravano lo spazio di una stagione o di un mattino. Si sono sdoganati gli insulti, il turpiloquio. La violenza verbale è dilagata dalla televisione alla politica, giù per gli rami, fino ai “leoni da tastiera” del web i quali, nascosti dall’anonimato, vantano diritto di insulto e di contumelie. Certo, ognuno di noi può essere portatore di violenza, sulla quale devono far premio l’intelligenza e la cultura. Ma se quest’ultima è delegata a pochi visionari….

AdB. Tutto questo si deve superare attraverso le Istituzioni. Che devono essere credibili, senza se e senza ma. Tutto questo, mentre hai non solo dei sintomi, la caduta verticale della credibilità delle Istituzioni è a un passo dalla palude autoritaria. Se oggi siamo così, c’è il dovere di evidenziare che chi è nelle Istituzioni e chi ci crede, con la massima urgenza deve intervenire per recuperare questa credibilità.

Af. Il problema è che si sia arrivati a un esercizio delle delega che rasenta il foglio in bianco. A una deresponsabilizzazione personale, anche in termini di impegno civile e politico, che apre praterie sterminate ai predatori delle libertà individuali.

AdB. Per tornare allo sconquasso emerso nella Magistratura, ciò che mi stupisce è che non ci sia una presa di coscienza e di posizione da parte della Magistratura sana. Credo che si sapesse ma si restasse silenziosamente indifferenti. Se noi non risolviamo il problema con il recupero di credibilità delle Istituzioni democratiche finiamo nella tirannia di chi vince. Questa è il vettore e il fine del male assoluto. Lo abbiamo visto nel Novecento, rischiamo di vederlo anche adesso.

Af. È l’esercizio della delega dei cittadini distratti e indifferenti portato alle estreme conseguenze. Tanto ci penserà qualcuno.

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