Sciopero degli immigrati: a Trento una protesta simbolica

Presidio di un centinaio di persone davanti al Santa Chiara, tutti con il nastro giallo


Luca Marognoli


TRENTO. Stranieri e perciò sfruttati. Extracomunitari e quindi tenuti al nero. Immigrati e, automaticamente, sottopagati. E’ nel mondo del lavoro che le discriminazioni appaiono più nette: parlano le buste paga (magre), le ferie (poche) e i diritti (violati). Da qui l’iniziativa, su scala europea, di indire uno sciopero degli stranieri. Per immaginare una giornata “senza di loro”.
 A Trento niente cortei oceanici o fabbriche ferme come in alcune grandi città d’Italia (ma aderivano anche Francia, Spagna e Grecia). Solo un presidio piccolo ma simbolico davanti al Santa Chiara, con un centinaio di persone fra sindacalisti, simpatizzanti e loro, i lavoratori stranieri impiegati nelle pulizie all’ospedale, presenti con una delegazione di 40 persone (il 70% dei 120 dipendenti sono stranieri). Pochi, ma tutti con il nastrino giallo simbolo dell’iniziativa, intitolata “Primo marzo 2010, una giornata senza di noi”.
 La Filcams - che in Trentino raccoglie 3.254 associati del settore commercio, alberghi, mense e servizi - è stata l’unica sigla a proclamare lo sciopero e il fatto che mancasse una copertura sindacale più ampia ha impedito che la manifestazione assumesse proporzioni più significative. «L’abbiamo fatto perché c’era una richiesta che è venuta da tutti i lavoratori, non solo dagli immigrati», afferma il segretario Ezio Casagranda. Che ha accusato la Bossi-Fini di essere una “legge razziale”: «Chi perde il lavoro viene espulso e questo consente nuove forme di ricatti. Gli stranieri, per non tornare da dove sono scappati, accetteranno di lavorare in nero e con contratti da fame». Un ricatto che è duplice per chi viene da paesi extracomunitari, reso possibile dalla crisi oltre che da leggi discriminanti. «Ricordati che tieni famiglia, si dice al sud. Agli stranieri oggi viene detto: ricordati che hai un contratto a termine. E che hai un permesso di soggiorno...».
 Non solo: «Rispetto ai lavoratori italiani - prosegue Casagranda - a quelli stranieri viene richiesto di avere l’“idoneità alloggiativa” (una casa di 64 metri quadri). Altrimenti c’è un giusto motivo di licenziamento». Tutto è in salita: se non hai casa non hai lavoro e se non hai un lavoro non trovi casa. Anche dalla partecipazione allo sciopero si misurano i diritti: «Nelle aziende la pressione perché non aderissero è stata enorme. Ai datori non importa niente: bisogna lavorare senza protestare».
 E’ stato il giornalista Mattia Pelli, uno degli organizzatori, a presentare la manifestazione: «Senza gli stranieri questo paese non va avanti», ha detto. «Abbiamo bisogno di stranieri, noi siamo stranieri». Dure le critiche rivolte alla legge Bossi-Fini e ai Cpt, dove gli immigrati «sono rinchiusi per sei mesi, con l’unica colpa di avere cercato una vita migliore».
 Anche Zorica Petkovic, lavoratice serba, ha imbracciato il megafono: «La nostra è una lotta per sopravvivere», ha esclamato. «Siamo qui per questo, non per rubare il lavoro agli italiani». Mentre Pirous Fateh-Moghadam, medico tedesco-iraniano, ha dichiarato: «La nostra è un’iniziativa antirazzista che parte dal basso. E questa manifestazione è solo il punto di partenza». Pirous ha ricordato le tre assemblee pubbliche organizzate dal “Comitato Primo Marzo di Trento” e ha elencato i punti della piattaforma che è stata predisposta: no al pacchetto sicurezza, ai Cpt, al permesso di soggiorno a punti, alle notizie di giornale che «soffiano sull’odio razziale» e alla politica che cavalca il razzismo. A livello locale contestate le graduatorie separate per accedere all’edilizia popolare e il requisito dei tre anni di residenza. «E’ all’inizio che il bisogno è maggiore».













Scuola & Ricerca

In primo piano