la mostra

Rovereto, la tragedia di Aylan diventa un’installazione

A Palazzo Alberti l’esposizione «Gli spostati»: immagini e oggetti di due generazioni di profughi, i trentini durante la guerra e quelli di oggi


di Michele Stinghen


ROVERETO. Prende al cuore e allo stomaco, la mostra de "Gli spostati", inaugurata ieri a palazzo Alberti. Prende allo stomaco come la sagoma del piccolo Aylan, il bambino siriano morto sulle spiagge turche e divenuto simbolo dei profughi di oggi, così come prendono allo stomaco quegli oggetti appartenuti ai nostri antenati.

L'accostamento non poteva essere più azzeccato per due drammi che toccano il Trentino - ieri chiamato a fuggire e oggi ad accogliere chi fugge. Ad osservare quei bauli vuoti e vissuti, sparsi negli angoli dell'esposizione, emergono vivi e terribili quei fatti di cento anni fa, i viaggi dei profughi trentini dai loro villaggi verso terre sconosciute e spesso inospitali.

La mostra "Gli spostati. Profughi - flüchtlinge - uprchlici, 1914-1919", curata dal Laboratorio di storia di Rovereto assieme ai musei della guerra e civico, è l'esito della ricerca condotta in questi ultimi anni da questo gruppo di studiosi, con base sì in città ma che è stato capace di costruire una rete fitta e estesa di collaboratori, riuscendo ad arrivare a tantissimi discendenti dei profughi di allora e reperendo materiale di ogni tipo - fotografico, ma anche oggetti, lettere, diari, cartoline.

Questa ricerca ha dato vita ad un recente convegno, e a due volumi in cui viene condensata l'indagine. La mostra ne è la sintesi e anche il completamento, dato che gli oggetti raccolti hanno molto più effetto se visti dal vero. Quelle scarpe rotte e insufficienti, quei fogli scritti fitti, quei vestiti vecchi, quelle memorie tramandate in una lingua che non è italiano né dialetto, fanno sentire sulla propria pelle ciò che passarono quelle persone, che erano i nostri nonni o bisnonni

«Alle spalle di questa mostra c'è una rete diffusissima di ricercatori, prestatori, trentini e non - ha detto Diego Leoni, del Laboratorio di storia - abbiamo rovistato archivi italiani, austriaci, cechi, le case degli eredi dei profughi. Scoprendo che questi avevamo conservato con attenzione, affetto, questi oggetti, è una memoria conservata, con un fortissimo valore emotivo. La mostra compone un grande racconto, che non ha nulla di folkloristico o propagandistico, ma serve a comunicare questa esprerienza devastante dell'esilio».

All'inaugurazione erano presenti gli assessori alla cultura Mellarini («deve essere una riflessione sull'oggi, e spingerci a politiche di integrazione e accoglienza») e Tomazzoni, il vicepresidente del Museo Civico Gianni Anichini e quello del Museo della guerra Alberto Miorandi. La mostra racconta con fotografie, diari e oggetti la storia dei profughi trentini durante la Prima guerra mondiale, spostati dalle loro valli divenute fronte del conflitto. Rimarrà aperta fino al 3 aprile, da martedì a domenica con orario 9-12 e 15-18, ingresso gratuito.













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