Rifiuti, illegittimi gli svuotamenti «fissi»

Una sentenza della commissione tributaria contro Amnu mette a rischio anche la Tares: «Si paga solo quanto prodotto»


di Luca Marognoli


TRENTO. E’ illegittimo richiedere ai cittadini di pagare un volume minimo di conferimenti di rifiuti. Lo ha sancito la commissione tributaria presieduta dal giudice Giuseppe Serao dichiarando illegittimo, e quindi non dovuto, il conguaglio previsto nella bolletta della Tia (la tariffa integrata ambientale) dall’Amnu, l’Azienda municipalizzata nettezza urbana che fa capo ai 18 Comuni dell’Alta Valsugana. La somma oggetto del giudizio ammonta a 4,59 euro (sui 104 totali semestrali, nel caso in questione), un’inezia dal punto di vista economico, e il ricorso infatti era stato promosso per una questione di equità da un cittadino perginese che riteneva questa voce «un balzello illegittimo - spiega il suo legale Mauro Demattè - perché contrario al principio della norma, di derivazione comunitaria (la direttiva 156 del 1991), in base alla quale chi inquina paga». A ogni persona, di fatto, viene addebitata da Amnu una piccola cifra corrispondente al volume presuntivo di 120 litri annui di rifiuti conferiti. Se la sentenza dovesse essere confermata in appello, però, quei pochi spiccioli diventerebbero molti di più qualora l’azienda fosse costretta a restituirli a tutti i residenti nei 18 Comuni. Ma soprattutto, estendendo il principio riconosciuto dai giudici alla nuova Tares applicata a Trento e alle altre tariffe analoghe vigenti negli altri comuni, si creerebbe un effetto a cascata sull’intera provincia che costringerebbe i gestori a modificare la tassa e darebbe titolo ai cittadini per chiedere un rimborso di quanto indebitamente versato. E’ quanto afferma Carlo Biasior, del Centro tutela consumatori: «Noi saremo a disposizione dei cittadini della Valsugana che richiedessero il rimborso, se vi fosse una sentenza definitiva. La Tares? Penso che il principio sia sempre quello: si potrà valutare con le prime bollette se la quota fissa degli svuotamenti riproduca la stessa distorsione». Il legale Mauro Demattè è dello stesso avviso: «Il pronunciamento è potenzialmente applicabile a tutte le aziende di gestione. C’è una normativa provinciale, infatti, che dà la facoltà ai Comuni di istituire questo conguaglio».

La vicenda giudiziaria ha una storia lunga. Nel 2006 il ricorrente, assistito dall’avvocato Gianfranco Depeder, si era visto dare ragione dal giudice di pace, che per primo aveva riconosciuto l’illegittimità del conguaglio. Amnu aveva presentato appello davanti al tribunale di Trento, il quale però aveva sostenuto di non avere giurisdizione sulla materia. Nel 2011 il caso è quindi approdato in commissione tributaria e ieri il collegio giudicante ha depositato la sentenza.

«Tutti i giudici possono disapplicare una norma, sia comunale che provinciale o nazionale, che sia in contrasto con una direttiva comunitaria», precisa Demattè. «Ma può farlo anche un funzionario pubblico. La stessa Amnu avrebbe dovuto».

L’azienda si è difesa sostenendo che la giurisdizione fosse del giudice ordinario e affermando che il principio del “chi inquina paga” non sarebbe puntuale, ma un semplice indirizzo. «Accettando di pronunciarsi, i giudici hanno invece affermato che siamo in campo tributario e quindi che questa è un’imposta, non il corrispettivo di una prestazione, come invece sosteneva Amnu. Questo è importante anche per un altro motivo, perché significa che anche l’Iva non è dovuta».

Il pagamento di un volume minimo «viene giustificato come un deterrente al turismo dei rifiuti, ma viene richiesto anche per le seconde case che magari sono chiuse tutto l’anno. Considerando che la quota di conferimento è di 120 litri a testa e che a Pergine ci sono 21 mila abitanti, senza calcolare i non residenti, otteniamo 2,5 milioni di litri di rifiuti annui: come un campo da calcio pieno di immondizia alta un metro e mezzo. Ciò è quanto Amnu addebita con il conguaglio. E’ come dire che ogni giorno 1.600 persone portino e abbandonino altrove un sacchetto da 5 litri».

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