Ricominciare, oltre il carcere 

Savoia porta in scena le storie dei detenuti: «La chiave non va buttata via»



TRENTO. «Portare un po' di luce e di umanità nel buio delle carceri»: le parole di Piero Calamandrei aprono il recital “Dalla viva voce”, di Amedeo Savoia, ospitato dall’Aula magna del Liceo Rosmini. La professoressa Antonella Valer ha presentato il progetto svolto insieme all’associazione Gioco degli Specchi: «Abbiamo coinvolto gli studenti in un percorso che mostrasse loro l’interno delle carceri: attraverso le testimonianze dei detenuti, gli studenti si sono confrontati con questa realtà, per capire come si arriva dentro una cella per aver commesso dei reati e come l’istruzione rappresenti per quelle persone la principale prospettiva per una vita diversa».

Amedeo Savoia, docente al Liceo Da Vinci e al carcere di Spini, ha poi introdotto la lettura scenica di alcune storie, ponendo l’accento sulla dimensione riabilitativa del percorso di pena: «Esiste un clima nell’opinione pubblica per cui di fronte a fatti di cronaca efferati, si incita alla pena di morte, alle punizioni corporali, alla galera più crudele. Si dimentica come la nostra Costituzione abbia sancito che la carcerazione debba essere volta alla riabilitazione della persona, in vista di un nuovo inserimento nella società. Soprattutto, si dimentica che dietro ogni detenuto c’è una storia: anche il peggiore dei criminali è stato un bambino». Le storie raccontate in “Dalla viva voce” mostrano frammenti di un’umanità fragile, talvolta contrassegnate da una sconcertante normalità: di fronte a queste vicende, viene da pensare che chiunque, un giorno maledetto, potrebbe compiere un reato e “finire in galera”. «Questa stessa espressione, “finire in galera”,» suggerisce Savoia, «è il segno di un atteggiamento preciso: in galera “si finisce”, è il luogo dove la società rinchiude i suoi prodotti peggiori, ed il problema è risolto. Quello è al contrario il luogo dove “si comincia” la propria ricostruzione: un percorso difficile che deve passare attraverso il riconoscimento del male commesso, ma che al contempo deve necessariamente essere rivolto al futuro». Provocatoriamente, Savoia riprende il refrain di molti commenti che invocano la prigione e suggeriscono di “buttare via la chiave”: «Molti sostengono che la prigione non debba essere un “comodo albergo”, un luogo di “ricreazione”. È vero l’esatto contrario: deve essere il luogo e il tempo per la ri-creazione della propria esistenza».

(f.p.)













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