Punti nascita, è allarme chiusura anche in Trentino

L'ordine da Roma: «Chi fa meno di 500 parti non può restare aperto»


Robert Tosin


TRENTO. Chiusi i punti nascita "periferici", i bambini arriveranno non con le cicogne, ma con i più moderni elicotteri della Provincia. E' uno scenario non molto lontano che ieri il direttore dell'Azienda sanitaria Flor ha prefigurato alla commissione legislativa provinciale alle prese con una petizione sulla chiusura del reparto di Borgo Valsugana. D'altra parte le direttive ministeriali sono molto chiare a questo proposito: le maternità che non hanno almeno 500 nascite all'anno non hanno motivo di restare aperte. Questioni economiche, ma anche di sicurezza ed efficienza. Secondo questi parametri Tione, Cavalese e Cles non avrebbero ragione di esistere. Anche Arco, se non fosse centro della fecondazione assistita, potrebbe essere chiuso. In provincia si salverebbero solo Santa Chiara, San Camillo e Rovereto. «No, non c'è questo rischio immediato - ha detto poi Luciano Flor - perchè il ministero si riferisce a realtà che segnalano ripetuti eventi avversi. Noi non siamo in tale situazione e anzi i risultati sono eccellenti, ma questo non vuol dire non porsi il problema del modello di assistenza». L'assessore Rossi ieri era in commissione politiche sociali a Roma: «Non siamo tenuti a rispettare queste direttive. In Trentino non si chiuderà alcun punto nascita. E anche Borgo si poteva gestire in modo diverso. Dobbiamo perseguire il sistema di rete per garantire sempre il massimo dell'efficienza». Il tema è, appunto, quello dell'efficienza. Banalizzando, un reparto si tiene fino a quando non si può ottenere di meglio in altro modo. Tenendo conto di molti fattori: politico, economico, funzionale, viario. Lo staff medico e infermieristico che segue 100 parti all'anno si costruirà un'esperienza molto inferiore a chi ne assiste mille, di conseguenza anche la preparazione e l'"allenamento" di fronte a casi magari difficili e complessi sarà molto diversa. Senza contare che sono gli stessi operatori a richiedere un costante "addestramento sul campo" e, dal punto di vista professionale, sempre meno primari accettano di trasferirsi in ospedali con numeri limitati. Insomma, se ora il problema non si pone non è detto che fra qualche anno non si dovrà invece affrontare. E' a quel punto che potrebbe essere messo in discussione il modello. Che già sta cambiando. La nuova legge sanitaria prevede una forte mobilità sul territorio, con la presenza di eccellenze localizzate. Importanti, da questo punto di vista, le comunicazioni, sia quelle virtuali (banda larga e radio) sia quelle concrete, le strade. E dove non ci sono, via libera agli elicotteri. «Sotto i 500 parti si pensa alla chiusura - ha detto Flor in commissione - e per favorire chi vive in periferia si allarga il tempo dell'urgenza, grazie ad un monitoraggio della puerpera e a un aumento dell'utilizzo degli elicotteri. Le piazzole d'atterraggio ci sono quasi ovunque». Anche le cicogne si adeguano.

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