Profughi, crisi da gestire Dal Brennero agli Usa

Il ministro Gentiloni: «È un fenomeno globale e le leadership ragionevoli rischiano di soccombere perché c’è un sentimento di crescenti ingiustizie»


di Paolo Mantovan


TRENTO. Paolo Gentiloni, in onore al nome (risale a un suo avo il famoso “Patto Gentiloni” che a inizio Novecento sdoganò l’ingresso dei cattolici in politica), propone una politica di softpower «nella quale noi italiani siamo fortissimi, siamo di molto cresciuti. Politica talmente riconosciuta - spiega il ministro degli Esteri alla platea del Teatro Sociale - che ora noi abbiamo un ruolo più forte di quello che ci immaginiamo sullo scacchiere del Mediterraneo. Vedete, le istituzioni italiane e le nostre task force risultano non solo simpatiche ma anche affidabili ai tanti attori presenti sui diversi fronti, per un motivo semplice che più volte mi hanno spiegato: perché non abbiamo un’agenda nascosta, perché non abbiamo velleità egemoniche. E allora di noi si fidano e ci affidano volentieri la tela da tessere. Ci sottostimiamo troppo: dobbiamo credere di più nell’Italia».

È ciò in cui dobbiamo credere, assicura il ministro, e su cui possiamo crescere, in un’epoca in cui tutto si sta rimodellando e si sta rimettendo in discussione. Perché in un Festival che si occupa dei luoghi della crescita, questa occasione - con Gentiloni - è per usare la lente d’ingrandimento sui luoghi della crisi. «E questo - dice il ministro strappando i primi sorrisi in teatro - mi sembra un po’ il metterci dalla parte dei menagrami, dei “gufi”, come va di moda dire oggi».

Brennero

Crisi e migrazioni, quindi, in un mondo che cambia alla velocità della luce. E la prima questione da affrontare è qui, alle porte: è il Brennero. «La Merkel ha detto cose importanti. Sacrosante. Ha fatto bene ad andare all’attacco: condivido. È vero che se si chiude il Brennero, l’Europa si distrugge. E in questo momento, vedete, dobbiamo agire con molta determinazione e ragionevolezza. Dobbiamo evitare che l’emergenza migranti travolga le leadership politiche ragionevoli. Questo è il grandissimo rischio: dobbiamo resistere». E il pensiero è andato subito all’Austria. «Penso come soltanto pochi mesi fa l’ex cancelliere Faymann aveva mostrato il coraggio di scelte importanti, di accoglienza. E poi sapete come è andata a finire. Ed è assurdo: perché la debolezza delle leadership politiche trasforma situazioni tranquille in vicende esplosive. pensate che verso il Brennero e verso l’Austria ora ci sono meno migranti dello scorso anno».

Donald Trump

«E poi questo che sembrava un fenomeno che riguardava solo l’Europa ormai ha assunto proporzioni mondiali. Basti vedere come la migrazione sia diventata una componente forte anche nella campagna elettorale degli Stati Uniti. Pensate a come Donald Trump ha fatto diventare centrale la questione degli ispanici entrati in Usa dal Messico. E tutto questo nonostante ora fra Usa e Messico ci siano ingressi a saldo zero, addirittura sono più i messicani di ritorno che quelli che entrano negli Stati Uniti. Poi annoto con stupore che in Usa chi prima ridacchiava di Trump, ora lo vede vittorioso: credo esagerassero prima ed esagerino ora».

Percezione di ingiustizia

Come gestire questo sentimento anti-migranti? «Per quel che riguarda gli Usa credo si capisca che c’è un altro elemento che si coniuga con la situazione europea e che trae alimento proprio dalla crisi. Oltre a questa fibrillazione anti-migranti (malgrado i numero siano in calo) le leadership ora devono governare anche un sentimento non solo contro l’establishment ma anche contro le ingiustizie, che gran parte della popolazione percepisce aumentato a causa della crisi economica».

Migranti economici

«Dopodiché - ha insistito Gentiloni - ci sono alcuni punti fermi: il principio fondamentale è che i rifugiati sono uguali, indipendentemente da provenienza, titolo di studio, ceto, attitudini, hanno tutti diritto alla protezione internazionale. Diversa la questione dei migranti economici, ma anche qui non è facile distinguere. Ad esempio: chi sono i migranti dalla Nigeria? In parte profughi, quelli che vengono dalle regioni del Nord, dove agisce Boko Aram. Poi c'è il racket della prostituzione. E poi ancora, i migranti economici. In prospettiva, credo che si dovrà accogliere in maniera coordinata e globale coloro che hanno diritto all'asilo. Al tempo stesso, bisognerà agire per aprire canali di emigrazione legale per i migranti economici che oggi, invece, per venire in Europa, si mettono nelle mani delle organizzazioni criminali.Nel frattempo, bisogna gestire l'emergenza. Continuano a dirci di rafforzare i confini esterni. Ma che significa? Qualcuno pensa che nel Mediterraneo si possa fare una politica di respingimenti? È contrario a tutti i nostri principi».

All’incontro al Sociale moderato da Enrico Franco c’era anche Marta Dassù, ex viceministro e ora direttrice di “Aspenia”, che ha toccato anche la questione demografica, di fronte a scenari che indicano nell’Africa un continente in grande crescita: basti pensare alla Nigeria, con un miliardo di abitanti nel 2050.













Scuola & Ricerca

In primo piano