Prodi a Trento per ricordare Chiara Lubich: "La politica non ha visione"

L'ex presidente del Consiglio: "C'è bisogno di persone che diano degli obiettivi che vanno al di là delle medie prospettive"


Luca Petermaier


TRENTO. Nel giorno in cui Trento e la sua Università rendono omaggio a Chiara Lubich, anche Romano Prodi sceglie di esserci. Il professore s’è accomodato (non) in prima fila e ha seguito i lavori del convegno. Poi, a margine del dibattito, ha accettato di rispondere alle domande dei giornalisti. «Non parlo di politica» - ha subito chiarito il professore che ha lodato la fondatrice dei Focolarini e parlato della classe dirigente: «In Italia manca la preparazione».
Presidente, c’è una nuova via rispetto all’economia capitalistica che con l’ultima crisi ha dimostrato dei cedimenti?
«La nuova via è difficilissima da trovare. C’è bisogno di persone che diano degli obiettivi che vanno al di là di medie prospettive».
Come ha fatto Chiara Lubich?
«Esattamente. E poi c’è bisogno di organizzare la vita della nostra economia e del sistema in cui viviamo. E’ un lavoro difficile, anche perché questa crisi è cominciata con un coro che diceva “bisogna cambiare tutto dalle fondamenta” e poi tutto è finito nel nulla».
Cos’è il bene comune?
«Possedere degli ordinamenti che siano il più possibile egualitari, ognuno deve poter esprimere se stesso. E poi che diano il massimo valore alla potenzialità della persona. Nella storia economica le dottrine che insistevano solo sull’individualismo o solo sul collettivismo non hanno mai funzionato».
Secondo lei qual è la maggiore difficoltà per gli imprenditori nell’applicare le regole dell’economia dell’eguaglianza?
«Il maggiore ostacolo è la natura umana stessa. C’è una dose di paura, mista a egoismo e insensibilità che impedisce che il sistema economico avanzi in modo corale».
Chiara Lubich diceva che i politici devono essere casti, poveri e obbedienti. In quanti l’hanno ascoltata?
«Non lo so. Io non sono un politico. Io sono un pensionato».
Il Trentino in questi giorni sta seguendo un dibattito sulla classe dirigente e sul suo mancato ricambio ai vertici della politica e dell’economia. Secondo lei a che punto è l’Italia sotto questo profilo?
«Il ricambio è troppo lento, a volte troppo veloce. Il problema è che abbiamo un bacino sempre più piccolo dal quale attingere la nuova classe dirigente. Sempre meno gente che si interessa in modo serio e prolungato alla politica, sempre meno gente che trova degli ambienti che la mettano alla prova priva di entrare in politica. Il risultato è che gli uomini e le donne nuove sono semplicemente uomini e donne senza esperienza politica. Magari sono dei geni nel loro mestiere, ma non sanno trattare con il prossimo, non conoscono le passioni, le virtù e i drammi delle persone. Non capiscono i bisogni della gente».
Ma dove sta il problema, allora?
«Il problema è nella fase pre-politica, cioè avere dei luoghi dove chi vuol far politica sia in qualche modo messo alla prova e formato a rispettare se stesso e gli altri».
Quali dovrebbero essere questi luoghi?
«Un tempo, seppur in modo imperfetto, c’erano le parrocchie, c’erano i partiti, luoghi in cui si poteva misurare prima dell’ingresso in politica la capacità di leadership di una persona. Lo si faceva in modo aperto e formale. Ora quei luoghi non ci sono più e dunque è un sussulto continuo. Tutto è diventato di breve periodo, tutto si fa per le elezioni di domani. Il problema del Paese tra 10 o 20 non lo affronta nessuno













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