Pd, congresso il 22 maggio Iscritti e poi le primarie

Questa volta si seguiranno le regole nazionali: prima la scrematura da parte dei tesserati, poi il voto degli elettori. Con lo spauracchio dell’ingovernabilità


di Chiara Bert


TRENTO. Prima gli iscritti, poi gli elettori. Sarà un congresso in due tempi quello con cui il Pd del Trentino sceglierà il suo prossimo segretario domenica 22 maggio, dopo il fallimento della segreteria di Giulia Robol e la transizione affidata a Sergio Barbacovi. Un congresso che, diversamente da quanto avvenuto nel 2014, ricalcherà le regole del Pd nazionale, per evitare che eventuali ricorsi possano poi invalidare il voto. Del resto il ricorso sull’elezione di Barbacovi, lo scorso anno, aveva dimostrato che a prevalere era lo statuto nazionale. La prossima settimana è in programma un incontro con il segretario della commissione nazionale proprio per fugare ogni dubbio.

Questa volta dunque ci saranno sì le primarie, ma al termine di un percorso che coinvolgerà in prima battuta i circa 1400 iscritti al partito all’interno di un percorso chiamato «convenzione»: le tesi dei candidati saranno infatti discusse nei circoli che eleggeranno i propri delegati alla convention, dove ci sarà la scrematura dei candidati fino ad un massimo di tre nomi. I nomi che poi saranno sottoposti, domenica 22 maggio, al voto largo degli elettori delle primarie.

Con questo meccanismo è però evidente che il rischio che si ripeta quanto avvenuto all’ultimo congresso - ovvero tre candidati in campo (Elisa Filippi, Giulia Robol e Vanni Scalfi) senza che nessuno abbia la maggioranza assoluta - è un rischio concreto. Per evitare un pericoloso déja vu, e garantire la governabilità a un partito spesso in balia di scontri interni, si lavora su percentuali e soglie: l’ipotesi è di aumentare da 150 a 250 il numero di firme necessarie per ogni candidatura, e di alzare la percentuale di firme da raccogliere in ogni collegio, così da rendere più difficile la moltiplicazione dei candidati.

Fin qui le regole. Che potrebbero clamorosamente non servire se alla fine il candidato alla segreteria fosse uno solo, ipotesi di cui si è discusso a lungo nelle ultime settimane. Il vicepresidente della Provincia Alessandro Olivi non ha nascosto di voler scendere in campo ma ha dovuto incassare lo stop di alcuni big del partito, a cominciare dal presidente del consiglio provinciale Bruno Dorigatti, dal capogruppo Alessio Manica e dalla consigliera Lucia Maestri, preoccupati per le ripercussioni di un’uscita di Olivi (capolista e il più votato alle elezioni 2013) dalla giunta dopo il siluramento di Donata Borgonovo Re la scorsa estate. Proprio dalla minoranza del partito è arrivata invece l’apertura a discutere di un congresso unitario a patto - hanno avvertito Borgonovo e Mattia Civico - che «l’unità non sia a prezzo di silenzi».

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano