Parla Rangoni: «Non ho evaso un euro» 

L’imprenditore trentino spiega che la plusvalenza contestata è stata reinvestita nella società che poi ha riportato in Italia


di Ubaldo Cordellini


TRENTO. «Io non ho mai nascosto un euro, non ho mai avuto problemi con fatture, conti segreti, paradisi fiscali o altre cose del genere e sono sempre stato corretto. Ecco perché vedermi dipinto come un evasore mi amareggia. Comunque ci difenderemo perché è tutto alla luce del sole». Renzo Rangoni, imprenditore finanziario e immobiliarista trentino non ci sta a passare per maxievasore fiscale. Nei giorni scorsi il gip del Tribunale di Trento su richiesta della Procura ha emesso un decreto di sequestro della sua casa di piazza Vittoria, un palazzo del valore di oltre 6 milioni di euro, e di azioni e titoli per un valore totale di quasi 17 milioni di euro accusandolo di non aver pagato le tasse su una plusvalenza da quasi 40 milioni di euro per la vendita di quote di una sua società in Lussemburgo. Rangoni, figlio di Armando l’uomo che ha portato la Fiat in Trentino e ha costruito l’Italscandia, spiega che la plusvalenza che gli viene contestata non è mai entrata in suo possesso, dal momento che è rimasta in pancia alla Errenove sotto forma di finanziamento soci: «Io sono vittima dei tanti convegni e incontri che ho frequentato nel corso degli anni. Mi ero convinto che la strada per fare impresa fosse quella della globalizzazione e dell’internazionalizzazione. Per questo sono andato a investire e a operare all’estero. Le mie società in Lussemburgo non sono solo una cassetta postale. Hanno una sede, una struttura, dei dipendenti e operano da lì. Non solo, io ho sempre dichiarato le mie partecipazioni all’estero nel quadro RW della dichiarazione dei redditi. Tutte le mie partecipazioni sono lì, quindi non ho mai nascosto nulla. Delle volte leggo sui giornali di operazioni che diciamo sono al limite, ma la mia filosofia è l’opposto. Tutte le nostre operazioni sono state trasparenti».

In particolare, Rangoni spiega che la cessione del 50% delle quote della Lifin alla Agata Sa era un’operazione nell’ambito della ristrutturazione del gruppo: «C’è stata una scissione. Avevamo un socio e abbiamo deciso di comune accordo di dividere le nostre strade. Così c’è stata la cessione delle quote. La plusvalenza non è finita nelle mie tasche o in conti correnti strani. E’ stata versata nella stessa società come finanziamento soci e poi, qualche tempo dopo, ho riportato in Italia la Errenove. E’ tutto controllabile. Non è sparito neanche un euro. Semplicemente abbiamo fatto una scissione e noi abbiamo deciso di riportare tutte le nostre attività in Italia. Infatti io in quegli anni mi sono fidato di Monti che aveva detto di vedere la luce in fondo al tunnel e ho pensato di rientrare, ma quella luce poi si è allontanata, ma questo è un altro discorso. Quello che voglio dire, però, è che io sono sempre stato trasparente e questo forse ha attirato le attenzioni nei miei confronti. Adesso ci difenderemo nel merito».

Rangoni aggiunge che le società del suo gruppo non hanno niente a che fare con le off shore costituite nei paradisi fiscali con il solo scopo di eludere il fisco: «Le mie società all’estero avevano una propria attività. Fondamentalmente avevamo due società una di partecipazioni e una che aveva la cassa. Quando c’è stata la scissione abbiamo pensato a questa ristrutturazione con l’obiettivo di rientrare nel nostro paese. Abbiamo messo a posto tutti i conti, ripianato tutti i debiti, pagato tutti i fornitori e le banche. Pensavo che questa operazione fosse buona e positiva, invece ha attirato solo altri controlli e verifiche. La commissione tributaria già ha sospeso l’accertamento nei nostri confronti dell’Agenzia delle Entrate, adesso vedremo il seguito».













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