«Orari del commercio e aperture libere: legge Olivi al capolinea»

Lombardini (Confesercenti): l’accordo proposto dall’assessore è positivo ma sarebbe una forzatura e ha scarse possibilità di venire accettato da tutti


di Giuliano Lott


TRENTO. Quando è nata, era la legge sul commercio più avanzata d’Italia. Ma in meno di un anno la legge Olivi si è trovata in una posizione di retroguardia, scavalcata dal decreto Monti che liberalizza orari e aperture per i negozi di tutta Italia. Trentino escluso, almeno per il momento. Loris Lombardini, presidente di Confesercenti, è uno degli interlocutori dell’assessore Alessandro Olivi, il quale sta cercando di far approvare alle categorie economiche un protocollo d’intenti che limita la libertà di apertura domenicale a dieci mesi, anzichè estenderla a tutto l’anno. «Ho ascoltato la sua proposta, ho letto il suo protocollo» dice Lombardini «ma per ora posso dire che ci troviamo in una strana situazione, in cui valgono entrambe le normative: quella nazionale e quella provinciale. Due leggi sono troppe, ci devono dire a quale ci dobbiamo attenere».

Olivi, dal canto suo, sostiene che nessuno fin qui gli ha intimato di ritirare la legge provinciale che porta il suo nome.

Ha ragione, nessuno ha finora affermato che la legge Olivi è anticostituzionale. Mi pare però una forzatura. Il problema vero è capire a quale legge ci dobbiamo attenere. Chi oggi rinuncia ad aprire la domenica in ossequio alla norma provinciale potrebbe rivalersi con un ricorso alla Corte Costituzionale. La quale non potrebbe affermare che la normativa nazionale cede il passo davanti a una legge della Provincia di Trento. Tra l’altro, alcune regioni hanno già fatto ricorso e hanno perso. In Trentino permane una «situazione kafkiana.

Su questo è difficile darle torto.

C’è una contraddizione enorme tra le due normative, e va chiarita. Certo, se le categorie economiche della provincia accettassero di darsi regole diverse rispetto al resto d’Italia, il Trentino darebbe una esemplare dimostrazione, ponendosi come una civiltà avanzata, fuori dall’ordinario. Non si possono non condividere certi princìpi come l’opportunità di dedicare più tempo alla propria famiglia, di fornire un modello di vita non ispirato al consumismo più sfrenato e al valore unico del denaro.

A parole no, presidente. Poi questi edificanti princìpi vanno collocati nella realtà quotidiana, che è fatta anche di concorrenza, estremizzata dal più lungo periodo di crisi che il mondo occidentale ricordi.

Il problema infatti è la concorrenza. Se tutti accettano il gentlemen agreement proposto da Olivi, sarebbe un’ottima cosa. Ma la grande distribuzione, dimensionata e organizzata per approfittare della liberalizzazione messa in campo dal governo Monti, potrà scegliere altrimenti. Se nessuno apre la domenica, sono tutti contenti. Ma se qualcuno apre, è favorito dalle chiusure dei concorrenti. In realtà la questione va posta in un altro modo.

Che sarebbe?

Tutti desiderano le liberalizzazioni. Chi non vorrebbe le farmacie liberalizzate, in modo da poter trovare i medicinali in 50 punti vendita anziché nelle 4 o 5 farmacie autorizzate? Chi non vorrebbe che le funzioni oggi assolte dai notai venissero fornite da un ufficio comunale?

Tutti tranne i farmacisti e i notai, in questo caso.

Appunto. Tutti vogliono le liberalizzazioni, purché siano quelle degli altri, delle altre categorie. Ma diventano corporativi quando la liberalizzazione tocca la loro professione. É normale, persino prevedibile. Dobbiamo uscire da questa logica corporativa.

Lei crede che liberalizzare orari e aperture sia un vantaggio o no?

Liberalizzare non è una prepotenza, ma un’opportunità. Nessuno è obbligato ad aprire 24 ore al giorno sette giorni in settimana, ma ognuno può scegliere ciò che è meglio per sé e la propria attività. É un’evoluzione naturale, la si può anche ritardare con delle leggi, ma non evitarla. Crea disagi, non c’è dubbio. Ma ci fa entrare in una fase di modernizzazione, sperando che questo processo interessi anche la burocrazia. Snellendola.

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