i dati

Non lavorano nè studiano: in Trentino sono 13.100

Li chiamano «neet»: hanno fra i 15 e i 29 anni e sono in una situazione di «stallo» Ianeselli (Cgil): azioni specifiche di recupero. Corrarati (Cna): più apprendistato



TRENTO. L’acronimo inglese è «neet», in italiano si usa anche «nè nè», entrambi indicano un gruppo molto definito: le persone (tendenzialmente giovani, ma in alcune statistiche il dato anagrafico è quasi secondario) che non studiano e non lavorano. Sono ferme, bloccate, in stallo.

In Trentino - secondo i dati Ispat, ossia i dati dell’istituto di statistica provinciale - nel 2015 i «neet» erano 13.100: la fascia presa in considerazione è quella fra i 15 e i 29 anni. Numeri che se rapportati alla situazione nazionale o più specificatamente a quella del Mezzogiorno, non appaiono gravissimi, ma sono comunque il chiaro sintomo di un problema. Anche restringendo la fascia ai giovani fra i 15 e i 24 anni (riferimento che viene utilizzato a livello europeo) il numero è comunque importante: 7.600 persone che non fanno nulla, sono inattive sul mercato del lavoro e non sono impegnati in lezioni e formazione. Un dato - e questo è certamente positivo - in calo: nel 2014 i «neet» trentini erano 7.900.

A puntare l’attenzione su questa tematica è anche la Cna, la confederazione nazionale dell’artigianato e delle piccole e medie imprese, che fa soprattutto un paragone con la fotografia dei «neet» in Alto Adige. I bolzanini «nè nè» cono 5.100 nella fascia 15-24 anni e 8.900 in quella 15-29. Dato il problema, qual’è la soluzione?

«Bisogna soltanto agire. È indispensabile – spiega il presidente di Cna Claudio Corrarati - intervenire in tre direzioni: la formazione, la scuola, l’apprendistato. Non siamo all’anno zero. Il governo si è mosso lungo tutti tre gli assi. Anche la Provincia di Trento ha messo in atti iniziative nell’ambito di «Garanzia Giovani» e il recente accordo sull’apprendistato. Ma è urgente un maggiore coinvolgimento delle imprese, e in particolare delle piccole imprese, nella messa a punto, passo dopo passo, di strumenti fondamentali per il futuro dell’Italia e del Trentino. L’apprendistato, in particolare, è uno modello positivo che in Alto Adige funziona bene da decenni e può funzionare anche in Trentino: prevede dispositivi che dotano il giovane di competenze in grado di avviarlo a un lavoro qualificato. Tuttavia, risulta gravato da eccessiva burocrazia che ne scoraggia l’utilizzo da parte delle imprese poiché continua a essere normato dalle singole regioni, talvolta anche con grandi differenze.

È necessario - conclude Corrarati - superare le differenze regionali introducendo una unica normativa nazionale, che, in accordo con la riforma costituzionale che tende a riordinare la materia della formazione e delle politiche attive del lavoro, oltre a superare le incertezze relative all’utilizzo dello strumento possa facilitare la mobilità sul territorio nazionale dei giovani lavoratori formati col contratto di apprendistato».

Apprendistato che è anche una delle parole chiave per il segretario della Cgil, Franco Ianeselli che richiama allo stesso modo il modello altoatesino. «Un’azione di recupero di chi, pur essendo molto giovane ha abbandonato lo studio - spiega il sindacalista - e in questo senso un modello diverso di apprendistato potrebbe essere utile. Questo assieme ad una serie di azioni finalizzate e ridurre al massimo il fenomeno dell’abbandono scolastico. Politiche diverse, invece se si prende in considerazione la fascia più alta dei «neet» ossia quella che racchiude anche diplomati e laureati che non trovano sbocchi nel mondo del lavoro e che sono sfiduciati». ©RIPRODUZIONE RISERVATA













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