«Non ho mai visto una simile tragedia»

Il racconto di Renato Mariotti, capo del soccorso alpino di Vermiglio «Sul ghiaccio i gruppi erano lontani l’uno dall’altro 100, 200 metri circa»



TRENTO. «In vent’anni di soccorso alpino non ho mai visto una simile tragedia. Nè su questa montagna, nè nei monti circostanti. Nove, erano in nove». Renato Mariotti è il capo del soccorso alpino di Vermiglio. E’ lui il soccorritore che ha preso fra le braccia il corpo senza vita di Luciano Bertagna, 45 anni di Sale Marasino, morto ieri all’ombra della Presanella. Nell’ aria del mattino di una domenica bella, si consumava una tragedia.

«Stavano andando alla sella di Freshfield. Ci sarebbe voluta una mezz’ora, circa, per raggiungere la meta. Il gruppo, nove alpinisti, era partito alle 6.30 del mattino dal rifugio Denza. L’allarme è arrivato alle 9.40. Siamo andati. Eravamo una decina, una decina di uomini del soccorso alpino di Vermiglio diretti verso il ghiacciaio. C’erano anche tre elicotteri, due da Trento e l’ Aiut Alpin. Una tragedia simile non l’ho mai vista. Sono vent’anni che faccio il soccorritore. Sono sceso nel punto più alto della zona dei soccorsi». Il punto più alto è la vedretta Cercen lungo la via Normale che porta in Cima alla Presanella. Siamo a quota 3100 metri circa, proprio nella conca glaciale dove pochi istanti prima si è consumato il dramma che ha spezzato la vita di due alpinisti. La conca di ghiaccio che vedeva Mariotti era il luogo dove la comitiva bresciana, composta da nove persone, era appena scivolata per 200 metri. «Dall’alto vedevo gruppi di persone sul ghiacciaio, lungo la Normale. Vedevo i feriti ed i soccorritori. I gruppi erano lontani uno dall’altro, cento, duecento metri. Il medico rianimatore era già sul posto, qualcuno era stato intubato, qualcun altro era già in volo verso l’ospedale. Dove ero io, nel punto più alto della zona dei soccorsi, c’erano due persone ferite in modo grave, non erano i bambini. Un altro alpinista, invece, era deceduto». Mariotti ha soccorso chi doveva ed accompagnato, nell’ultimo volo, l’uomo che sul ghiaccio lucido nel sole ha perso la vita. Quell’uomo era Luciano Bertagna. Luciano da Sale Marasino, 45 anni, aveva conosciuto il mondo. Andata e ritorno. Perchè tornare si doveva, in quel suo borgo che si specchia nel lago d’ Iseo. Le luci della ribalta da una parte, le luci della strada di casa dall’altra. Scelse le seconde. Luciano Bertagna era un ex operaio, faceva il meccanico e lo faceva bene. Talmente bene che, un giorno, entrò alla corte della Ducati. Quei bolidi che si mangiavano curve e vittorie avevano bisogno delle sue competenze. Così Luciano si mise in viaggio. Suoi compagni furono gente come Biaggi, Melandri, Stoner. Proprio Max Biaggi lo volle come uomo di punta in un team che delle conoscenze e del genio nell’abilità meccanica faceva tesoro. Per macinare vittorie ci voleva l’esperienza, quella del pilota, certo, ma anche quella di una moto perfezionata fino all’ossessione, fino all’ultimo bullone. E allora il Luciano Bertagna da Sale Marasino aveva iniziato a girare il mondo, godendo della sua velocità, della sua roboante bellezza. Un giorno però quell’esperienza finì. Così volle lui. Lasciò, certo, il grande circo della moto mondiale, appese al chiodo i fasti della moto Gp ma non la sua grande passione. Tornò a fare il meccanico al suo paese, Luciano Bertagna tornò ai ritmi cari del borgo sul lago d’ Iseo dedicandosi al Super Bike.

Una vita scivolata via in un mattino di domenica, nel giorno che doveva segnare una tappa importante: un’ escursione con gli amici sul ghiacciaio della Presanella. Una camminata preparata da tempo. Tutti in cordata su per la montagna, le due famiglie, Lottici e Ziboni, Luciano e Maurizio, quello del bar del paese. Un’istituzione. (f.q)













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