L’occupazione riparte ma la crisi non è finita

Il 30° Rapporto: 98 mila assunzioni (+3,6%), diminuiscono i disoccupati iscritti ai Centri per l’impiego. Quasi raddoppiati i contratti stabili


di Chiara Bert


TRENTO. Da gennaio a settembre di quest’anno le assunzioni in Trentino sono state 98.249, il 3,6% in più rispetto allo stesso periodo del 2014, e a beneficiarne - è la seconda novità positiva - sono stati anche i giovani, la categoria più penalizzata dalla crisi degli ultimi anni. Lo dicono i dati del 30° Rapporto sull’occupazione presentato ieri all’Hotel Trento in una tavola rotonda moderata dal neopresidente dell’Agenzia del lavoro Riccardo Salomone con i dirigenti dell’Agenzia e l’assessore provinciale Alessandro Olivi. Per la prima volta dall’inizio della crisi il saldo tra cessazioni e assunzioni è positivo. «Ma la crisi non è finita, la situazione resta di grande fragilità», ha avvertito Olivi.

Manca all’appello la rilevazione Istat riferita al terzo trimestre 2015, ha ricordato la direttrice dell’Osservatorio del mercato del lavoro Isabella Speziali, ma i dati dei primi nove mesi indicano un timido segno di miglioramento degli indicatori. Ancora troppo poco per dire che il Trentino è fuori dal tunnel, perché il mercato del lavoro resta generalmente statico. I dati Istat dei primi sei mesi hanno fatto registrare 1000 occupati in meno rispetto al primo semestre 2014 e un aumento della disoccupazione che ha raggiunto il dato record del 7,2% con 1600 persone in cerca di un lavoro. E a ricordare che le crisi aziendali significano lavoratori a casa (da Marangoni ad Arcese, da Malgara a Pvb, Lowara, fino alla Ariston), le ore di cassa integrazione nei primi nove mesi dell’anno sono cresciute del 19,2% raggiungendo 1,8 milioni di ore.

I numeri. Se si esclude l’agricoltura, che segna un modestissimo segno negativo, gli altri due settori risultano in ripresa, con l’industria che fa segnare un incremento del 6% e il terziario che dopo le difficoltà degli ultimi anni mostra un + 4,7%. La dinamica si conferma più positiva per i maschi (+3.119 assunzioni), ma crescono anche le assunzioni femminili (+283) e lo stesso vale per i cittadini italiani (+3.287, rispetto alle +115 assunzioni straniere). Nel 2015 è tornata a crescere la domanda di lavoro per i giovani (+785 assunzioni fino ai 29 anni, +1.721 nella fascia centrale e +896 tra i soggetti con più di 54 anni).

Lavoro più stabile. L’aumento delle assunzioni si deve soprattutto al tempo indeterminato, grazie agli incentivi del governo scattati a inizio anno e alla flessibilità prevista dal nuovo contratto a tutele crescenti: i contratti a tempo indeterminato sono quasi raddoppiati (+2.895 unità per un +43,7%) e quasi il 60% di questo aumento ha interessato i giovani (1221 fino ai 29 anni, 508 tra i 30 e i 34 anni), facendo calare l’apprendistato (-4,3%). Per la gran parte delle assunzioni a tempo indeterminato si tratta di stabilizzazioni: sono stati 3.056 i contratti a termine (o in apprendistato) trasformati in contratti a tempo indeterminato (+19,7% rispetto al 2014). A fronte di questo prosegue il declino del lavoro intermittente (post riforma Fornero) e soprattutto, come conseguenza della flessione in agricoltura, diminuisce il tempo determinato (-398, pari a -0,6%).

Effetto Jobs Act. «Se non investe in lavoro a lungo termine l’Italia è destinata al declino», è l’analisi di Maurizio Del Conte, docente alla Bocconi e tra gli estensori del Jobs Act. «Ridurre il costo del lavoro è perdente - osserva il professore, designato presidente della costituenda Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro - occorre investire su giovani che così contribuiscono di più al valore delle imprese e alla fiscalità generale». «È finito il tempo - in cui l’Italia gestiva le crisi con gli scivoli verso la pensione, dobbiamo aumentare il tasso di attività, non dare per persi gli over 50 e, attraverso le politiche attive, ridurre i tempi della disoccupazione tra un’occupazione e l’altro perché la continuità nel lavoro non sarà più continuità nello stesso posto di lavoro». «Il governo Renzi su queste riforme ci mette la faccia e non intende frustrare le esperienze territoriali come quella dell’Agenzia del lavoro trentina», è la promessa di Del Conte.

Da Olivi a Salomone, all’ex presidente dell’Agenzia Michele Colasanto, la riflessione ha individuato nel «modello partecipativo» tra istituzioni politiche e parti sociali l’elemento di forza del Trentino, un sistema che regge nonostante qualche fatica come si vede con l’avvio dei fondi territoriali (fondo di solidarietà e fondo sanitario integrativo). Queste le direttrici offerte dall’assessore per il futuro: riequilibrio tra politiche passive e politiche attive, principio di condizionalità per responsabilizzare i beneficiari dei sostegni pubblici (1000 sono usciti dagli elenchi dei centri per l’impiego per non aver rispettato il patto di servizio con l’Agenzia del lavoro), ammortizzatori più forti di quelli statali, Centri per l’impiego sgravati dalle incombenze per farne agenti di raccordo con le imprese e strumenti di incontro tra domanda e offerta.













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