L’inceneritore brucia 420 mila euro

Questo è il conto che Nimby aveva impugnato davanti alla Corte dei Conti. Ma la spesa per l’opera che non c’è è superiore



TRENTO. Se Metroland è il principale - e più ambizioso - progetto finito nel cassetto dei “vorrei ma non posso”, a ruota segue quello dell’inceneritore. Anche questo fonte di un dibattito infinito, ma alla fine costato un capitale solo in chiacchiere, visto che nessuna pietra è stata posata. È curioso, ma quanto sia costato fino ad oggi l’inceneritore è praticamente impossibile da calcolare. Nella partita erano coinvolti Comune, Provincia e - a suo tempo - pure la Sit. Un conto a spanne aveva provato a farlo Nimby, l’associazione ambientalista che si è schierata da subito apertamente e duramente contro il no, tanto da mettere subito in campo avvocati e carte bollate, oltre che a manifestazioni e prese di posizione. Il conto, dicevamo, è quello finito sul tavolo della Corte dei conti nel 2011 e intendeva chiedere conto nello specifico di 420 mila euro spesi dalle casse pubbliche. Per la verità si tratta solo di una parte delle spese connesse con l’inceneritore, perché riguardano le parcelle legali riguardanti in parte il lavoro di preparazione del primo bando andato deserto e in parte le spese di difesa proprio in seguito ai ricorsi del Nimby arrivati fino a Roma. Di sicuro non è incluso l’esborso di 41 mila euro assegnati a un professionista per farsi dire se e come l’impianto di termovalorizzazione potesse diventare un acentrale di teleriscaldamento con cui portare acqua calda a tutta la città bruciando, appunto, i rifiuti. Come non sono compresi, ovviamente, i costi della macchina burocratica comunale e provinciale che ha dovuto seguire l’iter di preparazione. Costi che, per la verità, ci possono stare e quindi difficilmente si possono considerare uno spreco perché fanno parte dell’attività normale degli uffici. Fatto sta che si tratta di ore e impegno profusi per un progetto naufragato abbastanza miseramente e trascinato per tredici anni nello scetticismo generale se non nell’aperta ostilità.

La soluzione anti rifiuti aveva cominciato a farsi largo a Palazzo su un’intesa fra Dellai, presidente in Provincia, e Pacher insediato a palazzo Thun. La prospettiva era quella di un rapido esaurimento delle discariche tradizionali sparse per il Trentino. Se la raccolta differenziata era una delle strade percorribili, il supporto definitivo alla soluzione del problema rifiuti era stato individuato nel fuoco. In qualche modo l’esempio bresciano aveva anche fatto gola: le immondizie potevano diventare un business nel campo della produzione dell’energia. Il consiglio comunale di Trento nel 2001 dà il via all’idea e la Provincia incarica la Sit di predisporre il progetto. Ne esce l’ipotesi di un “mostro” che divora oltre 300 mila tonnellate di rifiuti all’anno e la cosa spaventa assai. Tanto più che c’è l aconvinzione diffusa che la differenziata serva per ridurre i rifiuti, andando in contrasto con la voracità di una fornace sempre affamata. Piano piano le dimensioni del “termovalorizzatore” si riducono, anche perché la battaglia ambientalista non accenna a placarsi. Nel frattempo si spinge sempre di più per la differenziata con ottimi successi più o meno su tutto il territorio provinciale. A fronte di questi risultati le perplessità sulla struttura di incenerimento aumentano e ormai il dibattito comincia a scemare, anche se il progetto resta in piedi. Nel 2010 ci si prova con un primo bando, provando ad affidare a qualche ditta specializzata la realizzazione e gestione dell’impianto ma nessuno presenta offerte. L’economicità dell’operazione non appare così appetitosa per i privati. Ma non c’è ancora la resa. L’idea è quella di trovare un modo per rendere più vantaggiose le offerte, ma ormai è il canto del cigno. Ora il dibattito si è spostato in un’altra direzione: portare i rifiuti all’inceneritore di Bolzano che nel frattempo è cresciuto, non senza polemiche.

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