Inquinamento, sequestratal'Acciaieria di Borgo Valsugana

Emissioni di diossina fuori legge, dodici indagati. Perquisita la sede dell'Agenzia provinciale per l'Ambiente


Luca Petermaier


 TRENTO. Diossina in concentrazioni allarmanti, analisi contraffatte, limiti di legge stabiliti dall’Appa mille volte superiori a quelli di ogni altro impianto in tutto il nord Italia e anche oltre. E’ uno scenario angosciante quello che emerge dall’inchiesta «Fumo negli occhi», condotta dagli uomini del Corpo Forestale dello Stato di Vicenza. Uno scenario che si aggiunge a quello non meno preoccupante dei rifiuti a Monte Zaccon e che fa della Valsugana una sorta di «pattumiera» del Trentino.
 L’operazione della Forestale vicentina è scattata ieri mattina con il sequestro preventivo dell’Acciaieria di Borgo ordinato dal gip Marco La Ganga su richiesta della pm Alessandra Liverani. Più che di sequestro - nei fatti - si tratta di un «commissariamento». Il giudice, infatti, non se l’è sentita di fermare la produzione e mandare a casa i 117 dipendenti dello stabilimento e così ha optato per una soluzione meno drastica: la nomina di un custode giudiziario (l’ingegnere veneto Tiziano Benedetti) che per le prossime settimane manderà avanti la produzione cercando di adottare gli accorgimenti utili ad evitare altre emissioni non autorizzate e riferendo nel contempo al tribunale.
 Gli indagati in questo nuovo filone dell’inchiesta sono dodici. Quattro legati all’Acciaieria, quattro dipendenti dell’Appa e quattro collaboratori del laboratorio bresciano dove sarebbero avvenute le contraffazioni dei rapporti di prova sulle concentrazioni di inquinanti.
 Acciaieria: sul registro degli indagati sono finiti l’amministratore dell’Acciaieria Dario Leali; l’ex direttore Emilio Spandre (già arrestato qualche mese fa nell’ambito dell’inchiesta parallela chiamata “Ecoterra”); l’ingegner Matteo Bortolotti, responsabile della sicurezza e Alessandro Trentin, responsabile di produzione la cui posizione sembra quella meno pesante. Per tutti l’accusa è di aver consentito emissioni di diossina, in parte violando i limiti di legge e in parte non riparando vistose aperture nello stabilimento da cui sarebbero fuoriusciti fumi contenenti alte concetrazioni di inquinanenti. Le altre contestazioni sono di falso, per il taroccamento delle analisi sui prelievi al fine di riportare nei limiti i valori con la collaborazione di un laboratorio privato di Brescia; scarichi abusivi nel vicino corso d’acqua e violazione delle norme sulla sicurezza dei dipendenti.
 Appa. Dopo tante polemiche scoppiate nelle precedenti inchieste l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente viene coinvolta direttamente nelle indagini con quattro dipendenti. Si tratta del dirigente Giancarlo Anderle e dei funzionari Alessandro Moltrer, Enrico Toso e Mauro Facchinelli. Tutti sono stati interrogati ieri in procura, ma solo gli ultimi due hanno scelto di rispondere. Per tutti l’accusa è abuso d’ufficio e concorso nelle emissioni illegali. Il motivo? L’aver autorizzato l’Acciaieria ad emettere diossine in concetrazioni mille volte superiori a quelle stabilite dal decreto ministeriale 31 gennaio 2005 che ha recepito una direttiva comunitaria che impone il limite massimo di 0,5 nanogrammi per normalmetrocubo. Il limite autorizzato dall’Appa è stato, fino all’agosto scorso, di 500 nanogrammi, ora rientrato a 0,5 dopo l’installazione del nuovo impianto di aspirazione. Da notare che le vicine acciaierie Valbruna di Bolzano rispettano un limite di 0,1 nanogrammi.
 Il laboratorio. La struttura sequestrata nel bresciano è la «Chemi ricerche» che avrebbe taroccato le analisi sui prelievi all’Acciaieria riportando i valori nella norma. I rapporti di prova sequestrati e ritenuti falsi sarebbero sette, con valori ben superiori allo 0,5 ammesso. Indagati sono il responsabile del laboratorio privato













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