Informatica: tecnologia trentina nel cervellone del quiz Usa "Jeopardy"

Il calcolatore Ibm, chiamato Watson in omaggio a Thomas J. Watson, fondatore e primo presidente dell'Ibm, è frutto del lavoro di otto atenei, tutti americani tranne uno, l'Università di Trento



TRENTO. C'è anche tecnologia italiana, del Trentino, nel supercomputer che negli Stati Uniti tiene incollati alla televisione milioni di spettatori nella sfida uomo-macchina a colpi di quiz nella popolare trasmissione Jeopardy, la più longeva di questo tipo della tv Usa, in onda dal 1964.

Il calcolatore Ibm, chiamato Watson in omaggio a Thomas J. Watson, fondatore e primo presidente dell'Ibm, è infatti frutto del lavoro di otto atenei, tutti americani tranne uno, l'Università di Trento.

E non mancano ipotesi di applicare in altri ambiti tecniche qui sperimentate, ad esempio medicina e finanza. Il gruppo di ricerca in questione, coordinato dal professor Giuseppe Riccardi e dal ricercatore Alessandro Moschitti, è stato selezionato dall'Ibm per contribuire allo sviluppo del sistema di QA (Question Answering - sistema di risposta automatica) e della sua successiva estensione a sistemi interattivi o agenti virtuali in grado di dialogare con i computer.

Il lavoro dei ricercatori trentini si concentra sul miglioramento delle prestazioni attraverso cui il sistema Ibm Watson (per la sfida Jeopardy) fornisce le risposte a interrogazioni fatte in linguaggio naturale.

Il dipartimento di Ingegneria informatica e scienze dell'informazione (Disi) dell'ateneo è infatti leader mondiale nella progettazione di sistemi di apprendimento automatico per l'elaborazione del linguaggio naturale e di sistemi interattivi uomo-macchina.

Nell'ambito del progetto sono state sviluppate tecniche innovative di apprendimento automatico e di elaborazione del linguaggio naturale basate su rappresentazioni sintattiche e semantiche del testo.

''Con questa collaborazione - ha commentato David Ferrucci, leader del team di progetto Ibm Watson - intendiamo estendere e aprire l'accesso alle tecnologie d'interazione vocale al di fuori degli Stati Uniti e verificare con l'aiuto dell'Università di Trento l'applicabilità degli stessi algoritmi a lingue diverse dall'inglese. Con l'obiettivo, in un prossimo futuro, di estendere l'interesse anche a programmi applicativi che aprano sbocchi commerciali in settori come la medicina, il supporto tecnico, i servizi finanziari, in Italia e in Europa''.













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