In Trentino sempre più reati di mafia

L'allarme della Commissione parlamentare: «Tendenza preoccupante»



TRENTO. È solo una frase, annegata in oltre 200 pagine. Ma c'è. E recita così: «Una tendenza non meno preoccupante si verifica nel Centro Nord, specialmente in vaste aree del Lazio, dell'Emilia Romagna, della Lombardia, della Liguria, del Piemonte, della Val d'Aosta e del Trentino Alto Adige». Dove la tendenza è relativa al «continuo aumento dei reati di criminalità organizzata» richiamato nelle righe immediatamente precedenti a proposito della presenza mafiosa in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. La frase, inevitabilmente destinata a riaccendere le ricorrenti polemiche sulle infiltrazioni di mafia, camorra e 'ndrangheta in Trentino, fa parte del testo approvato all'unanimità (ma non ancora pubblicato ufficialmente) dalla Commissione parlamentare antimafia. Come se non bastasse, è contenuta nelle primissime pagine del documento, nella premessa. Con la firma "pesante" dello stesso presidente dell'organismo bicamerale: il senatore Giuseppe Pisanu, ex ministro dell'interno.

Questa tendenza, scrive Pisanu, «è il segno evidente di un progressivo spostamento delle pratiche e degli interessi mafiosi ben oltre i confini del Mezzogiorno». Un fenomeno che «non è recente, perché da almeno 40 anni le mafie hanno risalito la penisola ed hanno esteso via via i loro tentacoli in altri paesi europei e nel resto del mondo»: mafie che dunque, a loro modo, «si sono globalizzate e che in Italia sono entrate e far parte della cosiddetta "questione settentrionale"». Non solo: secondo la Commissione il trinomio mafia-affari-politica è a tutti gli effetti «l'espressione di un vero e proprio "sistema criminale"» che va «oltre i confini tradizionali delle singole organizzazioni mafiose, confondendosi e amalgamandosi con la vita ordinaria dell'economia, della società e delle istituzioni».

Allarmi ricorrenti.
Sono tutte parole che rischiano di scatenare l'ennesimo pandemonio. Come due anni fa, al Festival dell'economia, quando lo scrittore Roberto Saviano parlò delle attenzioni della 'ndrangheta per il business delle mele trentine (salvo poi fare una parziale marcia indietro). Mentre di «mafia nei Comuni trentini» aveva espressamente parlato nel 2006 anche l'allora difensore civico Donata Borgonovo Re. Ma pure lei, dopo essersi attirata gli strali dei senatori Giacomo Santini e Sergio Divina (e anche del presidente Lorenzo Dellai, che la invitò a farsi spiegare dall'allora vescovo di Locri Giancarlo Bregantini che cosa fosse veramente la mafia), disse più tardi che non intendeva riferirsi a Cosa Nostra ma, più semplicemente, a «fenomeni di malcostume amministrativo». E lo scrisse proprio alla Commissione parlamentare. Certo, qui le mafie non provocano «un mancato sviluppo equivalente al 15-20% del Pil» (sono ancora parole di Pisanu) come nelle quattro regioni del Sud dove maggiore è il peso della criminalità organizzata. E le cronache non riportano casi come quelli sempre più ricorrenti in Lombardia, con infiltrazioni soprattutto della 'ndrangheta nel cuore delle istituzioni. Ma poco più di un anno fa, proprio nell'ambito di un'inchiesta condotta dalla procura di Milano sulle cosche calabresi, spuntò anche il nome di un'impresa edile della nostra regione, la Cosbau spa con sedi nella Piana Rotaliana e a Nalles, su cui appunto la 'ndrangheta intendeva mettere le mani in vista degli appalti del dopo terremoto in Abruzzo.

Il documento segreto.
Chi da almeno un mese sa quanto la criminalità organizzata possa effettivamente costituire un fattore di pericolo per l'economia locale (oltre che per la sicurezza), è una sola persona: il presidente Dellai. Al quale la sera dell'ultimo giorno del 2011 il professor Ernesto Ugo Savona, direttore di Transcrime, ha consegnato i risultati di una ricerca commissionata dalla Provincia. Si tratta di "Metric", acronimo che sta per "Monitoraggio dell'economia trentina contro il rischio criminalità": un lavoro partito all'inizio dello scorso anno e sui cui risultati lo staff di Transcrime che lo ha elaborato, Savona compreso, è vincolato al riserbo più stretto (vedi in basso). Ogni tentativo di conoscerne i contenuti, anche in termini generici, si scontra con la medesima frase: solo il presidente Dellai ne parlerà quanto intenderà farlo. Si sa però che la ricerca ha passato in esame tutte le categorie economiche (imprenditori, albergatori, artigiani, commercianti) potenzialmente a rischio di infiltrazioni mafiose, attraverso approfondite audizioni ma, soprattutto, con l'ausilio di dati messi a disposizione dalla sede di Trento della Banca d'Italia. Il tutto con la consulenza dell'ex procuratore della Repubblica di Trento Stefano Dragone e del Comando regionale della Guardia di finanza, che ha messo a disposizione un ufficiale. All'attenzione di questo staff, in particolare, eventuali segnalazioni di operazioni finanziarie sospette. Qui sta infatti il pericolo maggiore: lo sbarco in Trentino di capitali frutto di illegalità, da reinvestire in attività lecite magari dietro lo schermo di prestanome. Questo e non altro sono i «tentacoli» di cui parla Pisanu nella relazione della Commissione antimafia. Un rischio da cui neppure il Trentino sarebbe esente. Tanto che, nell'attesa che i dati fin qui raccolti vengano diffusi dal presidente Dellai, Transcrime è già al lavoro sulla seconda parte della ricerca: la definizione di possibili strategie per la riduzione del rischio di infiltrazioni mafiose.

Reazioni opposte.
All'allarme lanciato dall'Antimafia non crede più di tanto Sergio Divina, concentrato invece sulle ultime mosse del governo Monti: «Non sono preoccupato per quelle parole - spiega il senatore della Lega Nord - quanto piuttosto dalla possibilità, contenuta nel decreto sulle semplificazioni, di creare srl con soltanto un euro di patrimonio sociale e con atti di scrittura privata: si rischia di andare incontro a un'incertezza totale, perché la forma della scrittura privata varrà anche per le modifiche societarie, ma soprattutto le srl diventeranno facili paravento per attività illecite: saranno il cavallo di Troia per introdurre attività e organizzazioni illecite nelle econome locali». Opposto il giudizio di Chiara Simoncelli, referente provinciale di Libera (www.libera.it), l'associazione di secondo livello che coordina a livello nazionale oltre 1.500 realtà che si battono contro la mafia: «Quella frase va presa su serio - sostiene - perché sono proprio i territori ricchi quelli in cui la criminalità può reinvestire i propri patrimoni: a maggior ragione una zona di confine come la nostra. Chi si occupa di antimafia parla di sempre più spesso "questione settentrionale" proprio con riferimento a questo pericolo: prima o poi, se non l'hanno già fatto, le cosche arriveranno anche qui».













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