Il dottor Maroni: medico, amico e «confessore laico»

Commovente addio a San Bartolameo dove ha lavorato per 37 anni: «Verrò a trovarvi a casa, conosco gli indirizzi»


di Giuliano Lott


TRENTO. Non fosse stato per il brutale stop impostogli da un ictus che lo ha colto a marzo mentre era in ospedale a visitare un paziente, il dottor Giuseppe Maroni avrebbe continuato a lavorare come medico condotto fino al limite imposto dalla legge. «L’anno prossimo compirò 70 anni, sarebbe stato più naturale smettere a quel punto. Ma la malattia mi ha imposto di lasciare la professione in anticipo. La salute è un dono che ci viene dato o tolto indipendentemente dai nostri programmi».

Chiamarla “professione”, nel suo caso, suona un po’ riduttivo. Il dottor Maroni è stato per 37 anni non solo il medico del quartiere di San Bartolameo, ma anche l’amico, il confidente, il “confessore laico” (parole dei suoi assistiti) dei suoi pazienti. Ieri circa cinquecento persone lo hanno salutato con una commovente cerimonia che si è dovuta trasferire nel parco della canonica: la capienza del teatro non era sufficiente per contenere tutti.

Il dottor Maroni ha avuto il suo bel da fare per raggiungere la scalinata adibita a palco in cui lo aspettava Antonia Dalpiaz in veste di speaker e presentatrice. Accolto da un fragoroso applauso dopo essersi districato a fatica dagli abbracci dei suoi pazienti, ha continuato a stringere mani lungo il percorso, salutando, come le star di cinema e tv in passerella. A differenza loro, però, il dottor Maroni non è una celebrità internazionale. Raccoglie un grandioso affetto corale dalle persone che ha curato e soprattutto ascoltato nei suoi anni come medico di quartiere. «Quando sono arrivato qui - racconta - nel 1975, ho trovato una realtà di periferia, anche piuttosto problematica, simile a molte periferie italiane. In principio l’ambulatorio era in via dei Tigli, un angusto laboratorio con una minuscola sala d’attesa che poteva contenere al massimo tre o quattro persone. Qualche anno dopo mi trasferii in via degli Olmi, nell’ex farmacia, ma durò poco perché presto l’immobile venne affittato. Trovai così uno spazio più accessibile, e più grande, in via Volta, in Clarina. Da allora molti residenti si sono spostati, alcuni in Clarina, altri in diverse zone della città. Così il mio ambulatorio è diventato un luogo d’incontro per la gente di San Bartolameo, che si ritrovava da me in sala d’attesa». Non ha avuto alcun problema di adattamento, il dottor Maroni: i suoi pazienti lo avrebbero seguito ovunque, pur sapendo di doversi sobbarcare una trasferta che per un anziano o un malato può rivelarsi impegnativa. «Io abito a Sopramonte - ci dice una signora di una certa età - e sono sempre andata da lui. E’ il migliore. E’ unico».

Non è un periodo storico in cui la professione medica gode di particolare prestigio, ma il dottor Maroni sfugge ad ogni catalogazione. Lui i suoi pazienti li conosce tutti per nome. Conosce gli indirizzi. E quando promette alla folla che lo applaude che «se il buon Dio e i medici me lo permetteranno, verrò a visitarvi tutti, a casa vostra» l’applauso si fa più forte perché tutti comprendono che non è una frase di circostanza o un ozioso modo di dire. E’ una promessa, un impegno. Arriva sull’improvvisato palco anche Paolo Zanlucchi, consigliere comunale che porta il saluto del sindaco Alessandro Andreatta. E’ imbarazzato, il dottor Maroni è stato il suo medico e amico di famiglia, e ricorda che dal suo ambulatorio «non si usciva mai senza un sorriso o una buona parola. Era un luogo d’incontro, più che uno studio medico».

«Questa - ci dice commosso il dottore - è gente che ha dato più di quello che ha ricevuto. Mi porterò sempre dentro la loro disponibilità, la loro capacità di dare agli altri». E le parole, pure in un’occasione così ufficiale, hanno un peso speciale. Perché il dottore lo ha sperimentato sulla propria pelle. «Quando è venuta a mancare mia moglie - dice con la voce incrinata dall’emozione - è stato il medico ad aver bisogno della comprensione dei pazienti. Ho avuto un ritorno di affetto che mi ha ripagato di tutto il mio impegno negli anni. Mi hanno aiutato molto, sono parte della mia famiglia».

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