il caso

Il burkini emerge dalle acque trentine

A Piné e Caldonazzo, come al lido Manazzon di Trento. Ma nessun bagnante protesta. Divan di Asis: «Basta sia omologato»


di Luca Marognoli


TRENTO. Altopiano di Piné, ponte di Ferragosto: una ragazzina in burkini si immerge nelle acque del lago delle Piazze. La spiaggia è assiepata di bagnanti di tutte le età: bambini che sguazzano, ragazzi che giocano a pallavolo, famiglie che fanno il picnic, anziani che leggono il giornale, signore distese sui lettini. Una calca degna della riviera romagnola. La ragazza non sembra destare scompiglio, semmai attira qualche occhiata curiosa. Il costume intero è bello: rosso vivo il pezzo inferiore, nero il velo che copre spalle e capelli, con due fasce celesti a fasciare le caviglie. Elegante, quasi un abito da sera.

Trento, lido Manazzon, mese di luglio: una donna in burkini si appresta a calarsi nella piscina. Il bagnino obietta che non è il caso di immergersi: anche il bagno con magliette di cotone non è ammesso, rilasciano brandelli di tessuto - spiega - che possono influire negativamente sulla qualità dell'acqua. Lei replica: «È il nostro burkini, lo usano tutti...». Il bagnino la lascia fare. Nessuno, tra i bagnanti, solleva obiezioni.

Nei giorni in cui, in mezza Europa, infuria la bufera sul burkini, dopo i divieti imposti in Francia, la tenuta da bagno usata dalle donne musulmane compare anche sulle nostre spiagge, la indossa la vicina di ombrellone.

La materia è (concedetecelo, visto che si parla di costumi) assai scivolosa. Il settimanale “Internazionale” si chiede se i divieti siano segno di laicità o di islamofobia e mette in risalto anche un’ambiguità lessicale: la parola burkini nasce dalla fusione di burqa e bikini, ma qui il vestito imposto dai talebani non c’entra nulla: il volto è scoperto e sarebbe più corretto parlare di “jilbab (abito lungo tipico, ndr )da bagno”. Nessun intralcio quindi all’eventuale identificazione, per motivi di pubblica sicurezza, di chi lo indossa.

Gli “addetti ai lavori”, in Trentino, non oppongono alcun divieto dal punto di vista tecnico all’utilizzo nelle piscine comunali: «Per noi non ci sono problemi purché questi abiti siano omologati come costumi da bagno», afferma Antonio Divan, presidente di Asis, l’azienda speciale per la gestione degli impianti sportivi comunali. «Non si può certo sindacare sulla tipologia: l'importante è il tessuto. Non abbiamo nessuna preclusione di tipo culturale».

Dall’acqua clorata a quella dolce. Marco Salvo è il coordinatore degli assistenti bagnanti del servizio Spiagge sicure che operano sui laghi della Valsugana, di Piné e di Lamar: «C'è una piccola comunità di donne, credo Rom, che a Calceranica entrano in acqua vestite, alla spiaggia Riviera. Lo stesso accade al Ciolda, ma non è una novità: accadeva anche l’anno scorso», racconta. «Ma al lago di problemi igienici riferibili ai tessuti non ce ne sono». Un potenziale pericolo per le bagnanti che li indossano c’è e riguarda l’intralcio dei movimenti in acqua: «È vero, ma restano sulla riva, sempre in acqua bassa. E non nuotano, si bagnano soltanto. Il pubblico? Non ho mai registrato segnalazioni di dissenso».













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