I senzatetto ora si sentono in famiglia 

Nella villetta di via Coni Zugna da un mese ci sono 16 ospiti, seguiti da operatori e da chi ha vissuto la stessa esperienza


di Sandra Mattei


TRENTO. Quattro mesi fa l’annuncio dell’arrivo dei senzatetto nel quartiere della Bolghera era stato accolto come una provocazione, per un quartiere non certo abituato a situazioni di degrado e povertà. Un incontro pubblico per spiegare cosa sarebbe diventata la villetta al numero civico 9, in passato sede delle associazioni della circoscrizione, aveva suscitato reazioni inconsulte: da chi protestava perché la decisione era stata calata dall’alto a chi temeva per la propria sicurezza. Ma c’erano state anche voci a favore e gli scout, ad esempio, hanno aiutato i senzatetto nel trasloco da via San Giovanni Bosco alla Bolghera.

Ora, a più di un mese dall’insediamento dei 16 senzatetto, che fanno parte del progetto “Casa Orlando”, la struttura d’accoglienza gestita da Villa Sant’Ignazio in collaborazione con le Attività sociali del Comune di Trento e Fondazione Comunità Solidale, il quartiere sembra aver assorbito indolore la novità. Ad accoglierci nella villetta dall’elegante architettura anni Trenta, contornata da un giardino dalla vegetazione rigogliosa di siepi e palme, ci sono Giorgio Delugan, operatore di Villa Sant’Ignazio e Mario Marchi, uno degli ex senzatetto che è diventato parte del progetto d’accoglienza. Con loro Paolo, uno degli ospiti.

Spiega Giorgio Delugan: «Ci siamo trasferiti qui da via San Giovanni Bosco, dove eravamo dal 2013. Casa Orlando è nata dall’esigenza di offrire una casa, appunto, a persone che si trovino in difficoltà, anche per un periodo temporaneo, o senza tetto che mostrino disponibilità a seguire un percorso di reinserimento sociale. A differenza delle altre strutture di accoglienza a bassa soglia, come l’Opera Bonomelli, i nostri utenti possono fermarsi per sei mesi, in modo da costruire tra loro relazioni e ricostruire un clima familiare». La particolarità di Casa Orlando, intitolata ad uno degli utenti che è venuto a mancare, è di affiancare agli operatori “di mestiere” gli “hope” (letteralmente Homeless peer), ex ospiti della casa diventati a loro volta parte del progetto, perché mettono a disposizione la loro esperienza di strada. «Dei 16 utenti della casa, due sono “hope” - precisa Delugan - volontari che dormono insieme a loro ed hanno la responsabilità della notte, mentre io passo durante il giorno. La filosofia della casa è affidare agli ospiti la gestione della struttura, con i turni di pulizia, la preparazione della colazione, la manutenzione del giardino e della casa. Rimane la regola che l’accoglienza è solo per la notte e, durante il giorno, loro si devono organizzare per trovare un lavoro». La selezione degli ospiti è affidata ad una commissione formata da rappresentanti di Villa Sant’Ignazio, assistenti sociali e hope, cercando di diversificare nazionalità, esperienze, vissuti. Paolo, uno di loro, napoletano, 55 anni, ha alle spalle anni di lavoro precario ed in nero. Racconta: «Mi sono trovato senza casa, dopo essermi lasciato con la mia convivente. Da anni non avevo più un lavoro fisso, perché la fabbrica dove lavoravo 15 anni fa ha chiuso. Trovare lavoro a Napoli è un terno al lotto, così ho pensato di cercare lavoro a Trento, dove ero stato e mi era piaciuta». Paolo qui ha passato anche un momento difficile, perché ha subito un infarto. «Sono stato operato - racconta - ma ora sto bene e sto aspettando di fare la riabilitazione a Villa Eremo. Spero di riuscire a riprendermi, perché ho fatto domanda per la raccolta delle mele in val di Non e sarebbe importante trovare lavoro».

Chi invece il lavoro l’ha trovato è Mario, hope che affianca Giorgio Delugan nella gestione di Casa Orlando. «Sono stato uno dei primi ad entrare nel progetto - riferisce Mario - cinque anni fa ed un anno dopo ho iniziato ad affiancare gli operatori, dopo avere seguito un corso per l’accoglienza. Ora ho un contratto a tempo indeterminato di dieci ore alla settimana, seguo due persone con disturbi mentali e do una mano sia allo sportello unico che alla Biblioteca di via Roma per la gestione di situazioni critiche. Sono passato anch’io attraverso la condizione di marginalità ed è più facile capire le persone disagiate. Ora che siamo in questa bella casa con il giardino, vogliamo avviare anche l’orto e una cucina, così da creare un vero clima familiare». Anche le associazioni del quartiere sono pronte ad avviare attività di collaborazione. E per il momento nessuno si è lamentato dei nuovi arrivati.















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