sport e sanità

«I sedentari? Peggio dei fumatori»

Tanti i rischi per la salute per gli amanti del divano. L’esperienza del campione di Football Carson


di Luca Petermaier


TRENTO. Recita un proverbio africano: «Se una cosa la vuoi, una strada la trovi. Se una cosa non la vuoi, una scusa la trovi».

Se questo detto corrisponde al vero, allora quel 16% di trentini (circa 60 mila) che dichiara di non fare alcun tipo di attività fisica non ha più scuse. É la sintesi del concetto di «deresponsabilizzazione» circa le scelte che riguardano la nostra salute. Concetto che ieri Paolo Crepaz, specialista in medicina dello sport e terapia fisica e riabilitazione, ha spiegato durante il suo intervento all’incontro dal titolo «Lo sport fa davvero bene alla salute?». Il concetto si basa su questa semplice domanda: perché se l’attività fisica fa bene, spesso molti di noi scelgono di non farne? Perché se un’ora di corsa al giorno regala 7 ore di vita in più non siamo tutti maratoneti? Una risposta assoluta non c’è, ma qualche spiegazione si può provare a darla.

Secondo Pirous Fateh-Moghadam, che dirige l’Osservatorio per la salute del Dipartimento salute della Provincia, una delle cause è la progressiva «motorizzazione» del movimento di tutti i giorni, quella cosa che, ad esempio, ci porta a prendere l’auto per recarci in palestra e pedalare su una cyclette chiusa dentro quattro mura. L’appello degli esperti, dunque, è «fate movimento». Camminate mezz’ora al giorno o correte, andate in bici, fate le scale. Fatelo con regolarità. Non serve diventare campioni, l’importante è scendere dal divano. «La sedentarietà - ha spiegato Fateh-Moghadam - costa all’Italia 1,4 miliardi di dollari all’anno. Ma soprattutto recenti studi stanno dimostrando che la sedentarietà rappresenta un fattore di rischio per la salute al pari del fumo». Sotto questo profilo il Trentino è virtuoso e i tanti cittadini (19% della popolazione) che si muovono in bici anziché in auto andrebbero ringraziati se è vero, come ha assicurato Fateh-Moghada, che così facendo abbiamo 19 morti in meno all’anno e 18 mila tonnellate di CO2 in meno nell’atmosfera.

Tutte queste regole valgono per noi comuni mortali. Ma se sei un atleta professionista allora l’approccio cambia. Della sua esperienza di campione di Football americano ha parlato Harry Carson che ha giocato 13 anni con i New York Giants nella National Football League, ha vinto un Super Bowl e, nel 2006 è diventato il 231° membro della Pro Football Hall of Fame. Nel suo caso non possiamo dire che lo sport abbia fatto bene alla sua salute. «Io giocavo come difensore. Ero bravo. Il mio compito - ha raccontato - era buttare giù gli avversari che avanzavano con la palla. Nella mia carriera mi sono allenato tanto, ho dato parecchie botte, ma ne ho ricevute altrettante. Sapevo che il Football è uno sport rischioso per il corpo. Era pronto ad affrontare lesioni, fratture, gravi distorsioni, persino il rischio di finire su una sedia a rotelle. Ma nessuno mi aveva mai parlato delle conseguenze sul mio cervello delle tante botte ricevuto. Alla fine della carriera ho scoperto di soffrire di commozione cerebrale post traumatica, una malattia cronica con cui convivo da 26 anni. Se da giovane avessi saputo che il prezzo della gloria sarebbe stato questo non avrei di sicuro accettato la sfida. Ed è per questo che ora dedico la mia vita ad informare i giovani, a spiegare loro i rischi di certi sport. Perché non voglio che poi finiscano come me».













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