I cento anni di «Italo», l’uomo dei giocattoli

Bertoluzza festeggia oggi il secolo di vita. I suoi trenini erano lo status symbol dei bimbi ricchi e la passione dei grandi


di Giorgio Dal Bosco


TRENTO. Festeggia oggi i 100 anni, con alcuni giorni di anticipo, Italo Bertoluzza, ma – come canta Charles Aznavour in una sua canzone – “l’aratro dell’età non ha scavato nel viso le rughe del tempo”. Piuttosto, quello sì, a Italo, a scavargliele nel cuore è stata la morte di sua moglie Livia Pevarello che gli ha dato Elena e Alberto. Non abbiamo avuto cuore di chiedergli il come e il quando di sua moglie. La figlia Elena, che è il suo angelo custode, infatti, dietro alle sue spalle, socchiudendoci gli occhi, ci ha “pregato” di cambiare discorso. Sarà però lui stesso che vi tornerà su poco dopo esprimendosi più con gli occhi azzurri dietro lenti panoramiche, occhi azzurri come il maglioncino elegante che copre un fisico ancora robusto, quasi atletico se non fosse per le gambe non più sicure come un tempo. Da giovane è stato un atleta dei 400 metri ostacoli gareggiando e conoscendo tutti i migliori atleti trentini coetanei.

La voce di Italo è ancora sicura come il cervello, le mani sono ferme e d’acciaio, ma sanno essere anche leggere quando usa o impugnava il pennellino per i suoi quadri (decisamente belli) ad acquerello che abbelliscono l’appartamento della villetta in Bolghera dove abita.

Bene, ma chi è Italo Bertoluzza? E’ quel signore che quasi 80 anni fa ha aperto, primo in città, un negozio per neonati e per bambini fino alla prima comunione. E’ “Italo”, quello all’angolo di via Diaz con via Malpaga, il negozio di giocattoli, ramo commerciale subentrato molto tempo dopo per scelta – da lui condivisa - di suo figlio Alberto. Chissà quanti trentini, ora adulti, sono stati “addobbati” per la prima comunione con i suoi vestitini. Chissà, poi, quanti ragazzi sono andati con i loro genitori a comperare vagoncini, rotaie, stazioni, elettromotrici del trenino elettrico Rivarossi, allora giocattolo addirittura totem e una sorta di status symbol per i ragazzi abbienti di Trento. Solo ragazzi? Macché! V’erano anche fior di professionisti come il famosissimo chirurgo Pezcoller che un giorno, in negozio, fornito di una piccola saldatrice, ha riparato uno scambio di rotaie saldando due fili elettrici fini come un capello. E poi, tra gli appassionati del Rivarossi, c’era anche il presidente della Corte d’Appello di Trento che periodicamente andava a sincerarsi se ci fossero novità mancantegli. Italo ci racconta questi ed altri episodi con nostalgia come i viaggi annuali a Norimberga con il figlio Alberto alla fiera del giocattolo.

Quanti “Cicciobello”, sono passati dalle loro mani, il pupazzo in assoluto più venduto assieme alla americana Barbie. Questo “giovane” anziano vuole ringraziare tutti i suoi collaboratori, anche quella commessa che ad una turista francese cui necessitava per sua figlia una “culotte pour la mer” – costumino da bagno per il mare – ha proposto una mutandina di plastica con elastico a stringere le gambette. E alla insoddisfazione della cliente ha garantito che quegli elastici avrebbero impedito, se del caso, qualsiasi fuoriuscita di “mer”.

Al termine di alcune riflessioni sui rimpianti, soddisfazioni, delusioni, illusioni su ciò che si fa o non si fa per gli anziani, Italo va al cuore del cuore della sua vita: sua moglie, conosciuta al bazar Chesani, all’anello di fidanzamento infilatole nel dito in vicolo dell’Adige, portata all’altare alle cinque di mattina nell’agosto del ‘36 e in viaggio di nozze, pagato dal Duce, a Venezia e a Roma. Poi, lei alla cassa nel loro negozio che andava a gonfie vele, lui con la Balilla da e per Milano a fare acquisti. Va al cuore con un improvviso “Vorrei morire”. Ci invita a riflettere: «Ma si fermi a guardare dritto negli occhi un anziano che non può, non sa e non vuole più chiedere nulla alla vita. Interroghi quegli occhi, magari vivi nel colore ma spenti dentro. Certo io ho mia figlia Elena, certo, sono nonno di Barbara, Fabiana e Marianna e, come dicono, nonno bis di Tommaso e Maddalena, ma mi manca mia moglie, ecco quello è il mio vero e unico rimpianto». E ci saluta stringendoci la mano con incredibile energia.

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