Hanno chiuso il mio ospedaleMi sembrava di vivere un incubo


Lia Prompergher


Mi è sembrato di aver vissuto un incubo. Alle 9 e 30 sento che passano i fotografi. Una signora allo sportello mi chiede: «Ci sono nuove inaugurazioni?». Non ancora - rispondo - Tra dieci giorni apre la nuova radiologia. Dopo un po’ sento parlare di riunione e mi sento dire che bisogna spostare gli appuntamenti. Vedo i miei colleghi con le lacrime agli occhi e non riesco a capire più niente. E intanto compaiono i cartelli con la scritta “chiuso”. Mi viene il dubbio che possa cadermi qualcosa sulla testa e velocemente cerco - insieme alle mie colleghe, anche loro sbalordite e spaventate - di organizzarmi per trasferire il nostro lavoro altrove.
 Siamo andate a mangiare in mensa dove vedevo le persone scendere le scale con i sacchi pieni di roba. Le facce sono dispiaciute. Sul volto espressioni interrogative. Sensazioni ben diverse dagli altri giorni in cui i saluti solari volavano da persona a persona poiché - dovete sapere - l’ospedale di Mezzolombardo è piccolino: le persone si conoscono e si aiutano tutte. La cosa che porto nel cuore è che non potrò più stare vicino ai miei colleghi tecnici e medici. Almeno per ora. Posso dire che - per fortuna - se ne sono accorti in tempo e perciò abbiamo evitato una catastrofe. Speriamo che l’ospedale venga ristrutturato al più presto. Era come un orticello coltivato al servizio di tutta la comunità.













Scuola & Ricerca

In primo piano