Guido de Cles, addio al barone

Il nobile noneso se n’è andato a 86 anni, dopo l’incidente di domenica ai piedi del suo castello



TRENTO. È morto ieri nel reparto di rianimazione il barone Guido de Cles, 86 anni. L’uomo, il cui nome è legato alla famiglia nobiliare ma anche alla cantina de Cles, era finito in ospedale nella serata di domenica dopo una rocambolesco incidente stradale. de Cles era alla guida della sua Panda e stava viaggiando lungo la strada limitrofa al castello di famiglia (a Cles) quando ha perso il controllo della vettura che era destinata a finire in un dirupo. L’uomo, però, era riuscito all’ultimo a lanciarsi fuori dalla vettura ed era stato lui stesso a chiamare i soccorsi. Portato al Santa Chiara era stato quindi ricoverato in rianimazione. In quadro clinico erano molto critico e ieri mattina il cuore del barone ha smesso di battere.

Guido de Cles, scapolo, viveva nel palazzo di famiglia in corso Mazzini a Mezzolombardo. Ed era attivo nell’azienda agricola di famiglia ora guidata dal nipote Giorgio. La storia dell'azienda ha origine ai primi del 1600, quando gli Scari di Cronhof lasciano in eredità alla famiglia Cles il palazzo padronale in Mezzolombardo e la cantina Scari. Una storia che prosegue ancora ora con successo. Era un barone con le mani nella terra, Guido de Cles. Non amava i titoli, non narrava i fasti del suo casato, tranne quella volta che dovette farlo con i due fratelli, Leonardo e Michele. Lo richiedeva il protocollo, la visita del vice prefetto dell’ Archivio Segreto del vaticano a Cles, con l’allora presidente della regione Grandi. In quegli anni, Ottorino Angeli era assessore al comune. Guido lo conosceva già dagli anni 80, quando con il sindaco Dusini visitò il castello di Cles con i suoi poderi. «Una persona squisita, gentile, di grande cultura. Era un uomo fine - ricorda Angeli - Amava la campagna, si prendeva cura delle coltivazioni. Un barone con le mani nella terra. Ma amava anche il castello. Era ingegnere, seguì personalmente i lavori di restauro del palazzo. Attento, meticoloso». Il barone lo si vedeva passeggiare in paese, a Mezzolombardo dove, a palazzo Scari, si prendeva cura anche dell’altra parte delle produzioni di famiglia, quelle dalle quali nasce il prezioso Teroldego. Un uomo riservato, dall’amore infinito per la bellezza della terra e della storia, tradotta nelle architetture del castello e delle case di famiglia. Una bellezza ricercata nei modi e nel parlare, quella cultura elevata che, dice l’amico Ottorino, lasciava a bocca aperta.













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