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Foto pedofile nel pc:condannata una coppia

L’uomo avrebbe ritoccato immagini porno usando volti di bambini rubati su Facebook. Nell’hard disk anche 500 copie di falsi documenti d’identità


di Luca Marognoli


TRENTO. Volti di bimbi rubati da Facebook e “incollati” su corpi di persone intente in rapporti sessuali. Collage dell’orrore costruiti al computer per soddisfare fantasie perverse. Immagini abominevoli che hanno colpito anche gli investigatori della Polizia delle comunicazioni, quando due anni fa hanno ispezionato il pc di un uomo di mezza età di Cavalese. Nella sua casa isolata nei boschi, viveva con la compagna ai margini della realtà ma immerso nel mondo virtuale del web. Come virtuali, ma non per questo meno scioccanti e grottesche, sono definite tecnicamente le immagini spuntate da quell’hard disk. Alcune decine, non di più, realizzate - secondo l’accusa - dal proprietario del pc, si presume per un “uso personale”.

Molto più numerose, si parla di centinaia, invece le immagini pedopornografiche più “comuni” custodite nella memoria del computer. Assieme ad almeno 500 copie di falsi documenti d’identità, creati non si sa da chi e utilizzate - ipotizza la Procura - per aprire dei profili Facebook altrettanto fasulli, con finalità ignote e - sembra - non di lucro, forse per una sorta di bizzarra gara fra “collezionisti”.

Ieri il giudice dell’udienza preliminare Marco La Ganga ha condannato l’uomo a 1 anno e 8 mesi, con il rito abbreviato, mentre la donna ha patteggiato una pena di un anno e 2 mesi. A lui la pm Maria Colpani aveva contestato la detenzione di materiale pedopornografico, a entrambi i reati di accesso abusivo a sistemi informatici, sostituzione di persona e falsificazione di carte d’identità. Tutti e due hanno beneficiato della sospensione condizionale della pena. L’avvocato Tamara Lorenzi di Pergine, legale d’ufficio, sta valutando se ricorrere in appello.

Quanto accadeva nella casetta fra i boschi di Cavalese è stato scoperto dagli investigatori della Polizia delle comunicazioni guidata dalla dirigente Tiziana Pagnozzi, partendo da due querele presentate da altrettante donne di fuori provincia. La prima aveva denunciato che ignoti si erano impossessati del suo profilo Fb, al quale non riusciva più ad accedere; la seconda, conoscente dei due, aveva accusato la coppia di avere sottoscritto un abbonamento a una linea telefonica a suo nome, circostanza negata dalla legale degli imputati.













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