Festival dell'Economia, giorni pieni di idee


Alberto Faustini


Raccontare, dice Saviano, è l’unico modo per cambiare il Paese. Viviamo nella democrazia della multimedialità. E la regina del mondo, come Pascal chiamava l’opinione pubblica, rischia d’essere schiacciata da una tempestività e da una pervasività che invadono le nostre teste senza informarci realmente. Sotto la pioggia battente delle notizie in tempo reale, abbiamo la sensazione di sapere (e di capire) ogni cosa. Ma non c’è un ombrello che ci permetta di selezionare, di entrare nei fatti anziché sbirciarli di sfuggita. Sono sempre meno coloro che raccontano, che narrano, che spiegano. E molti di noi, lettori spesso superficiali e distratti, “assaggiano” al volo, senza cogliere il sapore, l’essenza.
 I giornali usano molte volte espressioni surgelate e faticano ad essere un ponte fra i fatti e le persone, fra i linguaggi, fra le generazioni, fra i mondi. E se i lettori non si fermano sulle parole, la colpa non può essere solo della fretta, che contamina e travolge.
 Fra le notizie che stentiamo a capire, molte riguardano proprio l’economia: è Boeri a ricordarci che secondo l’ultimo studio Isae gli italiani pensano che nel 2009 il loro reddito lordo sia aumentato (ma è diminuito del 5%) e che la disoccupazione sia calata (ma è cresciuta).
 Se è vero - come dice Obama - che il giornalismo è essenziale alla salute della nostra democrazia, allora il Festival che si apre a Trento è un’occasione della quale approfittare. Oggi si apre infatti un quinto Festival che è anche una sfida anomala: la sfida è nella ricerca di parole sulle quali fermarsi a pensare; l’anomalia è che si parli soprattutto d’informazione: l’informazione - spesso distorta, soprattutto dalla tv - sarà dunque per quattro giorni al centro di un appuntamento che guarderà l’economia in modo diverso, inducendo a meditare sui fatti, sul labile confine fra vero, verosimile e falso. Bauman, il grande sociologo che chiuse il primo Festival, parla di effetto torcia: con i media che fanno luce in una certa direzione e che poi la spengono per dedicarsi improvvisamente ad altro. Il Festival, se vuole essere vincente come in passato, deve tener accesa quella luce, illuminandoci. Senza perdere di vista la necessità di ascoltare ogni voce, anche quelle contrarie (penso alla defezione di Sacconi e agli altri ministri che purtroppo non hanno voluto esserci).
 L’informazione, bene vitale per la democrazia, corre rischi seri. Per la legge sulle intercettazioni, ma non solo. Questi quattro giorni “arancioni” sono dunque preziosi anche per investire sulla libertà: di pensare, di scrivere, di capire. Ce n’è bisogno.













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