«Eterologa, niente fretta: ci servono delle buone regole»

Luehwink, direttore del Centro di procreazione assistita di Arco: «Difficile trovare abbastanza donatrici volontarie»


di Chiara Bert


TRENTO. «No alla fretta sulla fecondazione eterologa. Il tema non va rimandato, c’è urgenza di regolamentare, ma soprattutto dobbiamo regolamentare bene, senza cedere alla facile strada di soddisfare le esigenze di alcune persone e che poi potrebbero creare problemi medici, legali e etici a non finire». Arne Luehwink, direttore del Centro per la procreazione assistita di Arco, predica prudenza.

Il centro di Arco accetta ogni anno circa 350 coppie, la lista d’attesa è di un anno. «Quelle che necessitano di una donazione per avere una possibilità di avere un figlio sono circa il 5%», spiega il primario. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che lo scorso aprile ha giudicato incostituzionale il divieto dell’eterologa imposto dalla legge 40, cos’è cambiato? «Le richieste ci sono state - spiega Luehwink - ma nel dibattito di queste settimane mi sembra ci sia troppa enfasi. Condivido quello che ha detto il presidente Ugo Rossi («Non seguiremo l’esempio della Toscana, aspettiamo delle linee guida nazionali»). Sul piano tecnico si potrebbe partire con l’eterologa anche domani. I problemi sono di altro tipo, organizzativo, medico, legale, etico».

Un primo nodo riguarda la selezione dei donatori: volontari o pagati? «Dubito fortemente - risponde Luehwink - che ci saranno abbastanza donatrici volontarie, perché le donne devono sottoporsi a terapie ormonali di stimolazione che potrebbero precludere in futuro la loro stessa fertilità». «Si potrebbe proporre a chi già si sottopone a terapie di donare i propri ovociti in sovrannumero, ma non saranno tanti casi. L’unica soluzione sarà pagare le donatrici, ma questa è una strada che va sicuramente prima regolamentata a livello nazionale con una legge». La preoccupazione è che si generi un business delle donazioni: «Se si stabilisse che chi dona non riceve nulla, le donatrici andrebbero nei centri privati, dove il rischio è che il pagamento avvenga per vie grigie, e questo è da evitare».

Un altro punto sensibile riguarda l’anonimato dei donatori. «È uno dei nodi da risolvere - ammette il direttore - nella legislazione europea si sta affermando il principio che il nascituro ha il diritto di conoscere i propri genitori biologici. Il rischio è che questo possa aprire la strada anche a delle rivendicazioni economiche. Non mi sembra che al momento qualcuno abbia trovato una strada ideale per tutelare l’anonimato dei donatori e al tempo stesso il diritto del bambino a conoscere i propri genitori biologici». Ma Luehwink invita a considerare anche le implicazioni mediche: «Immaginiamo un bambino che si ammala e ha bisogno di un trapianto di rene o di midollo da donatore compatibile: conoscere il suo genitore biologico potrebbe dargli una speranza di vivere».

Quanto alla possibilità per le coppie di scegliere le caratteristiche fisiche del donatore, dalla razza al colore degli occhi, il giudizio è netto: «La ricerca di una qualche somiglianza con i genitori è comprensibile. Ma l’idea di selezionarsi un figlio, magari biondo con gli occhi azzurri, mi fa paura. Lo dico da tedesco».

Al di là dell’eterologa, sono in costante crescita le coppie che si rivolgono ai centri di procreazione assistita: «Il problema principale - spiega il primario - è che le coppie decidono di avere figli troppo tardi. Si pensa che il tempo sia illimitato, ma la fertilità femminile è invece molto limitata. Tra le coppie che arrivano da noi, abbiamo un netto aumento della fascia da 38 anni in su. Il nostro limite di età, fissato lo scorso anno dalla Provincia, è di 43 anni. Noi accettiamo donne fino a 42 anni e 6 mesi». Percentuali di successo? «Dal 20 al 30%. La nostra équipe ha acquisito più esperienza e bravura, ma nonostante questo i successi non aumentano e questo è sicuramente da imputare all’aumento medio dell’età femminile».













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