L’ATTENTATO DI PARIGI

«Ero a un passo da quell’inferno»

Parla Tiziano Straffelini, dal 1996 vive nella capitale francese. Il suo ufficio è vicino alla redazione di Charlie Hebdo


Paolo Tagliente


TRENTO. Mentre anche nella nostra provincia il livello d’allerta è salito al massimo livello, con le forze dell’ordine impegnate in servizi straordinari di controllo a quelli che sono considerati potenziali obiettivi sul nostro territorio, come interessi francesi o redazioni di testate giornalistiche, c’è chi le drammatiche ore di Parigi le sta vivendo sulla propria pelle. Stiamo parlando di Tiziano Straffelini, geologo, 46 anni il mese prossimo, rivano di Varone che da quasi vent’anni vive e lavora nella capitale francese per un’importante società di restauro . Il suo ufficio dista solo un paio di centinaia di metri dalla redazione di Charlie Hebdo, al civico 8 di rue Nicolas Apert, nell’XI Arrondissement, dove mercoledì mattina si è consumata la carneficina. Dopo qualche giorno di vacanza a Riva, Tiziano è rientrato in Francia sabato scorso e lunedì, dato che lì non si festeggia l’Epifania, ha ripreso il lavoro.

Cos’è successo mercoledì?

«Ero in studio e non ho sentito gli spari, perché la città è assai caotica. Ma ho sentito le sirene di ambulanze e auto della polizia. Tante, tantissime. Qui a Parigi, come in qualsiasi grande città, è frequente sentirle, ma l’altro giorno, prima di mezzogiorno, è scoppiato davvero il finimondo. Ho capito subito che era accaduto qualcosa di grave e poco dopo mi è arrivata una notifica di una radio a cui sono abbonato in cui si parlava di un assalto armato a Charlie Hebdo. Solo cinque minuti più tardi ha telefonato mia madre, che si sincerava della mia salute: la notizia aveva già fatto il giro del mondo».

Poi cos’è accaduto?

«L’intero quartiere è stato messo sotto assedio per ore, ma quando sono uscito dal lavoro, verso le 17, mi si è presentata una situazione irreale: in giro non c’era più nessuno e su tutta la zona regnava un silenzio spettrale. Una cosa incredibile e molto inquietante per Parigi. Ho raggiunto la metropolitana e lì ho davvero capito quanto profonda fosse la ferita inferta alla città e quanto i parigini fossero scossi».

Parigi, la via del massacro

Paura e dolore, nell'XI Arrondisment di Parigi, dove ha sede la redazione di Charlie Hebdo, bersaglio dei terroristi

Si spieghi meglio.

«Quando sono salito sulla metro, ho guardato la poca gente sul vagone, e anche questa cosa molto molto strana a quell’ora, e ho pensato al significato etimologico della parola “terrorismo”, che è quello di seminare il terrore. Beh, le persone erano terrorizzate, anche se vivono in una città come Parigi, dove succede di tutto e ormai non ci si scandalizza più di nulla. L’assalto a Charlie Hebdo, però, ha risvegliato quelle paure che dopo gli attentati di metà anni Novanta sembravano essersi sopite. E poi, la rivista satirica è conosciutissima, simbolo della libertà di stampa e ormai da tempo nel mirino dei fondamentalisti. Se avessero colpito qualsiasi altra testata gli effetti non sarebbero stati gli stessi: la strage a Charlie Hebdo ha colpito la Francia al cuore. E così, ad ogni scossone, ad ogni calo della luce, in ogni situazione che fino al giorno prima sarebbe stata assolutamente normale, ci si guardava spaventati. Dopo qualche centinaia di metri, ad esempio, il treno s’è fermato e io mi sono alzato di scatto. Anche le altre persone erano visibilmente nervose. Fino a martedì, non avremmo nemmeno alzato lo sguardo dal libro o dalla rivista che stavamo leggendo. E oggi (ieri per chi legge, ndr)è anche peggio. Nei bar, nei ristoranti, ovunque radio e televisioni sono sintonizzate sui telegiornali. Si segue in ansia l’eveloversi di una situazione che resta ancora molto molto drammarica. Si respira la paura».













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