«Energia e turismo, uno strappo»

Titolo V della Costituzione, Dellai accusa: norme davvero stringenti solo per la parte sana del Paese



TRENTO. Quanto aveva da dire sui dettagli della riforma del Titolo V della Costituzione, che evidentemente almeno in parte già conosceva, Lorenzo Dellai lo aveva già anticipato già venerdì scorso, nella conferenza stampa del dopo giunta: «Vogliono riportare il turismo tra le competenze concorrenti, dopo che nel 1993 un referendum ha abolito il ministero del Turismo... Vogliono governare loro un settore primario per Trentino Alto Adige, che ospitano un decimo del totale delle presenze turistiche di tutta Italia». Ora preferirebbe non commentare, il presidente della Provincia, i dettagli del ddl di riforma costituzionale approvato l’altra notte dal Consiglio dei ministri. Se non su due punti, in maniera drastica: l’introduzione del principio dell’interesse nazionale pressoché su tutte le materie («lo invocano dappertutto, un passo indietro di decenni») e il settore dell’energia riportata sotto il cappello della competenza esclusiva dello Stato: «Capisco che per ogni Paese si tratta di una questione nazionale, ma i territori devono avere voce in capitolo: è un settore su cui abbiamo fatto moltissimo, senza impedire nulla».

Al netto delle rivoluzione che potrebbe investire i poteri della Provincia su due settori così cruciali come appunto energia e turismo, va detto che i tempi per l’esame e l’approvazione del ddl da parte del Parlamento sono strettissimi: servono due passaggi a tre mesi di distanza l’uno dall’altro e con il voto positivo di 2/3 in entrambi i casi pena un successivo referendum confermativo, Anche per questo Dellai preferisce parlare di «segnale politico» da parte del governo, magari da lasciare in eredità all’esecutivo che nascerà dopo le prossime elezioni politiche di aprile 2013. Perché anche il presidente della Provincia ammette che dal 2001 il riordino delle competenze tra Stato e Regioni si è configurato «monco, e incerto, con dinamiche finanziarie non alcuni casi certamente non virtuose». ma da qui al testo uscito da Palazzo Chigi ce ne corre: perché quel ddl, secondo Dellai, «invece di prendere in esame situazioni concrete, invece di venire a capo si competenze scoordinate o usate in maniera non efficiente, colpisce tutti in maniera indiscriminata e mortifica quelle realtà. Come la nostra, in cui l’autonomia funzionava bene anche prima della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001».

Dellai non si sottrae all’obbligo di una riflessione generale su costi e benefici dell’attuale rapporto Stato-Regioni. ma a patto che ci si prenda tutto il tempo necessario vista la delicatezza degli equilibri da garantire: «Un riforma serve e va messa a punto assieme, ma non stravolgendo l’assetto costituzionale unilateralmente, sostituendo norme disorganiche con riforme altrettanto disorganiche». Dietro cui il presidente della Provincia, lo ha già detto in più occasioni e ora lo ribadisce, vede «un disegno di accentramento contro ogni buon senso, senza distinguere tra realtà che esercitano l’autonomia fin dal 1948, sulla base di norme costituzionali preesistenti alle stesse Regioni ordinarie. L’esigenza di un riassetto è stata posta dagli stessi governatori, ma attraverso un confronto: così invece, per come è scritto, il ddl viola palesemente principi del nostro Statuto. Su questo tema va seguita la strada della concordia, non la via del conflitto».

Anche questa è un’ipotesi: governo intenzionato ad andare avanti a passo di carica. Con il favore, qui sta il punto, del vento antiregionalista che sempre più vigoroso si fa strada anche in Parlamento. «Sarebbe un errore gravissimo, che non potremmo stare a guardare senza intervenire - commenta Dellai - sarebbe un altro strappo e ci andremmo di mezzo noi, autonomia consolidata da decenni e mai fuori controllo». Ma se anche così fosse, conclude, «che almeno si metta al riparo il quadro delle nostre competente, e su questo terreno inizieremo subito a muoversi. Tra le esasperazioni nordiste di qualche anno e il centralismo deve esserci una via di mezzo. Perché il rischio vero è che alla fine norme stringenti vengano applicate solo alla parte sana del Paese». ©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano