Droga, faceva spacciare anche il figlio 

È l’accusa nei confronti di uno degli arrestati nella maxi operazione della polizia. Indagine anche per estorsione



TRENTO. Una partita di droga sparita, il sospetto del furto e le minacce. C’è anche l’accusa di estorsione contro alcuni degli elementi del gruppo arrestato con l’indagine «Zaghi» dalla squadra mobile. Facevano parte del gruppo quelli che avrebbero messo in atto l'estorsione e faceva parte del gruppo anche chi l’estorsione l’ha subita. Sì perché il sospetto era che il furto fosse stato messo a punto da un «interno». Che alla fine per pagare i «colleghi» aveva racimolato tutto il denaro di casa e poi aveva anche chiesto un finanziamento. E i 26 mila euro erano stati «restituiti».

Per inquadrare la vicenda bisogna partire dall’inizio ossia dall’estate dello scorso anno quando dai Balcani - secondo la ricostruzione degli investigatori - era arrivata della droga. Che prima era stata sistemata in una casa ma poi era stata traslocata in un posto più sicuro. Quale? Una forra vicino ad una baita nella zona di Vetriolo. Un interramento ben studiato con la droga sigillata e poi sistemata in un bidone di plastica per evitare che si potesse deteriorare. O che qualcuno ne sentisse in profumo. Animali compresi. In tutto oltre 2 chili e mezzo di stupefacente fra cocaina e marijuana. Succede che però la droga sparisce. E si pensa al furto. E il dito viene puntato contro chi quel bidone lo aveva sotterrato. Inutile che lui giurasse di non sapere nulla di quella sparizione: la droga non c’era più e lui doveva pagare. Secondo gli investigatori per fargli restituire i 26 mila euro in tre sarebbero ricorsi alle maniere forti. A minacce pesanti. Ed ecco l’accusa di estorsione che viene mossa nei confronti di Anis Serifovic (34enne, abita a Pergine), Andrea Major (50enne di Trento) e Matteo Galeazzo Piccolotto (perginese 39enne). I tre, con ruoli diversi, avrebbe iniziato con una serie di visite e di telefonate minatorie sia nei confronti del «collega» che della sua famiglia. Una situazione difficile per chi subiva le minacce che alla fine, stando alla ricostruzione che viene fatta dalla mobile, per riuscire a pagare quanto veniva preteso, avrebbe chiesto anche un finanziamento.

Nei meandri dell’indagine ci sono anche degli episodi di autoriciclaggio («impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita» secondo l’articolo 648 ter del codice penale) attribuiti ad un membro del gruppo che avrebbe utilizzato i proventi dell’attività di spaccio nella sua attività imprenditoriale. Un «giro» che avrebbe ostacolato la provenienza illecita dei soldi .

E poi c’è anche l’utilizzo di un minore nell’attività di vendita al minuto. Episodi che vengono contestati ad uno degli arrestati che avrebbe chiesto al figlio (che al momento cristallizzato dalle indagini non aveva ancora 18 anni) di occuparsi in prima persona di alcune cessioni di droga.

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