l'intervista

«Dietro gli attentati, i poteri forti»

Il vescovo Tisi: «Non siamo davanti a una guerra di religione, ma a una oligarchia che vuole creare un clima di terrore»


di Ubaldo Cordellini


TRENTO. Ha voluto salutare gli anziani della casa di riposo di via Vittorio Veneto il vescovo di Trento, monsignor «don» Lauro Tisi. In vista del Natale è voluto stare vicino ai più deboli e ai «cirenei della speranza». A tutte quelle persone che con il loro impegno, il loro voler aiutare gli anziani, i malati, i fragili lo fanno essere ottimista per il futuro. Ottimista nonostante quello che sta succedendo. Nonostante l’attentato di Berlino e il terrorismo sempre più aggressivo. Per don Lauro non siamo davanti a una guerra di religione, a uno scontro di civiltà, come pensa chi vuole incendiare gli animi, ma siamo di fronte a uno scontro di potere, a una «guerra» organizzata per soldi e interesse da chi controlla le armi.

Monsignor Tisi, stiamo vivendo un Natale pieno di angoscia dopo l’attentato di Berlino. In molti dicono che è scoppiata una guerra di religione. Lei che ne pensa?

La religione non c’entra niente. Questo schema di guerra tra musulmani e cristiani non è veritiero anche perché sono ormai più di 50 anni che l’occidente non si ispira più ai valori cristiani. Ci siamo staccati dalle nostre radici. E anche la galassia musulmana è variegata. E’ riduttivo e antistorico pensare che sia una realtà monolitica.

Ma allora cosa c’è dietro il terrorismo?

Sono convinto che sia una questione legata al commercio di armi e di poteri forti. C’è una piccola oligarchia che vuole questo clima di terrore. Tutto quello che succede è gestito dai poteri forti. Anche il populismo viene gestito da questi poteri forti che hanno tutto l’interesse a controllare anche la protesta con lo sfogo violento, ma che alla fine non cambia niente. Alla fine è sempre chi vive nelle stanze dorate del potere che controlla anche il populismo.

I social media contribuiscono non poco a diffondere un messaggio radicale e semplicistico. Non a caso si parla di realtà post fattuale.

La prima istanza che viene a galla in questo momento è che dietro a questa semplificazione c’è la macchina dei social per cui noi seguiamo non più la realtà vera, ma quella post fattuale. Però quello che vedo in Trentino è la presenza forte del volontariato, di persone che aiutano i disabili, gli anziani, i più deboli, persone che si spendono per gli altri. E questo mi dà speranza. E poi c’è la famiglia che è la realtà più sana che ci sia mentre viene dipinta come se fosse allo sfascio. Certo ci sono sempre le eccezioni, ma la famiglia in Italia è quella che regge il welfare, che fa da collante tra generazioni. Eppure, se si dà credito ai pessimisti, dovrebbe essere in crisi. E poi un altro dato che emerge è la pietas. L’uomo è irriducibile nel cercare l’umano. Di fronte alla barbarie, l’uomo continua a cercare l’umano. Per questo motivo, anche in un Natale agitato come questo, dobbiamo tenere la barra dritta guardando alla realtà vera senza farci ingannare da quella dipinta dai social.

A questo proposito, molti dicono che si deve smettere di accogliere, che i migranti sono troppi. In Trentino sono 1200 e molti parlano di invasione. Secondo lei c’è un limite all’accoglienza?

Se una persona rischia la vita, è in emergenza, sta male ed è costretto a scappare, una società sana le inventa tutte per prendersene cura. C’è un grande schematismo che però viene meno quando le persone si conoscono. Finché si parla di migranti c’è sempre una certa resistenza. Ma, poi, quando si conoscono le persone in carne e ossa la paura svanisce. Lo abbiamo visto con i migranti ospitati nelle canoniche. Quando le persone li conoscono non hanno più paura. Invece, quando si inizia a fare differenze, a fare distinzioni. Quando si dice che la vita di una persona vale più di quella di un’altra in base al censo o alla provenienza o alla religione è finita. Come cristiano non penso che si possa mettere limiti all’accoglienza.

La comunità musulmana chiede da tempo una moschea. Lei è d’accordo?

Ogni realtà ha diritto a esprimere la propria religione e ha diritto ad avere i propri luoghi di culto.

Cambiando argomento, i 32 dipendenti del Quid hotel e del ristorante Mover all’Interporto stanno rischiando il posto di lavoro e hanno chiesto di incontrarla. Lei che farà?

Io sono venuto a conoscenza di questa situazione dai giornali in questi giorni e non posso non incontrarli. Li incontrerò venerdì e cercherò di fare tutto quello che posso.

Non c’è solo la loro situazione. In regione anche i 116 addetti alle pulizie delle aree di servizio dell’A22 rischiano il posto e gli ex dipendenti Whirlpool sono in grave difficoltà. La società si dimentica degli umili?

La questione del lavoro per me è fondamentale. Con il progetto “Ridare speranza” abbiamo tentato di dare una risposta. Abbiamo già convocato un tavolo allargato a tutti i soggetti economici e associativi per cercare di dare risposte. Il lavoro è il problema dei problemi. Quando un uomo non ha lavoro, non ci sono chiacchiere che tengono. Noi dobbiamo fare in modo che un uomo possa lavorare e mantenere la sua famiglia. Per questo il nostro progetto va implementato.

Quindi, secondo lei c’è speranza? Non viviamo in un mondo tutto nero?

Per me, c’è speranza e c’è la possibilità di andare avanti. Dobbiamo uscire dal pessimismo cosmico e guardare alla parte sana della società. Sono convinto che sotto la cenere ci sia la possibilità di migliorare. E sono anche convinto che questo precariato ci darà renderà più uniti.

Papa Francesco ha rappresentato una vera rivoluzione per la Chiesa e sembra aver ridato speranza.

Francesco è più di una rivoluzione. E’ una benedizione ogni giorno per la Chiesa. Con le sue provocazioni e i suoi gesti ha rimesso in moto progettualità e speranza.













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