Daldoss: «Unirsi non è più una scelta, è un obbligo»

L’assessore: «La gente non ha capito la situazione». Rossi: «Percorso difficile» Kaswalder: «Va cambiata la legge, referendum valido per i Comuni che dicono sì»


di Chiara Bert


TRENTO. «La gente non ha ben compreso la situazione che stiamo vivendo. O il cambiamento si affronta o ti travolge». Il giorno dopo la vittoria del no ai referendum per i nuovi Comuni Altanaunia e Borgo Chiese, l’assessore agli enti locali Carlo Daldoss ammette che il risultato «lascia l’amaro in bocca». «Peccato», rincara il governatore Ugo Rossi, «per una quota minoritaria di votanti saltano progetti importanti per le comunità».

I due no ai nuovi Comuni unificati segnano uno stop pesante, inatteso in queste dimensioni, sulla strada delle fusioni. Fusioni che sono uno dei cardini su cui Rossi e Daldoss hanno impostato la recente riforma istituzionale: Comunità di valle non più elettive, gestioni associate obbligatorie per i Comuni sotto i 3 mila abitanti e, appunto, spinta alle fusioni, per arrivare tra qualche anno - questo l’obiettivo dichiarato - a un centinaio di Comuni rispetto ai 217 di oggi (diventeranno 208 da gennaio 2015). La legge ha previsto una deroga all'obbligo di gestione associata per i Comuni che avviano processi di fusione per costituirsi in un unico Comune di almeno 2 mila abitanti. «Non è un percorso facile - ragiona il presidente della Provincia - ma non ci siamo dati obiettivi, questo è un processo che nasce dal basso e come tale può incontrare delle contrarietà. Resta il dato che due progetti di fusione su quattro si sono fermati per pochissimi voti». Come proseguire? Per Rossi «serve un’opera di convincimento maggiore, non dobbiamo spingere i Comuni a fondersi perché mancano i soldi, mettersi insieme non dev’essere una scelta difensiva ma offensiva. Non si rinuncia alla propria identità, ma ci si rafforza». Il governatore spiega che, al di là dei risultati di domenica, «resta l’impegno forte sulle gestioni associate anche dove non si sono realizzate le fusioni».

L’assessore Daldoss - che da un anno ha avviato il confronto, a tratti difficile, con Comuni e Comunità di valle - non nasconde la delusione, e una certa sorpresa per la vittoria del no al referendum in alta val di Non per soli 3 voti a Malosco. «Questo esito lascia l’amaro in bocca, ma i dati dicono che c’è una grande volontà di cambiamento. La gente ha partecipato, di questi tempi è già un successo. Ma emerge che la gente, sia tra gli amministratori che tra i cittadini, non ha ben compreso la situazione che stiamo vivendo. La riforma istituzionale ha previsto un cammino verso le gestioni associate, fare ragionamenti unitari oggi non è più una scelta, è un obbligo. E la fusione è più efficiente della gestione associata. O il cambiamento si affronta o se ne viene travolti».

C’è chi, come il consigliere del Patt Walter Kaswalder, è convinto che l’opera di convincimento non basti: «Qui bisogna cambiare la legge regionale, l’ho già detto a Daldoss. Non è possibile che un solo Comune possa bloccare, magari per pochi voti, la fusione. Dobbiamo prevedere un meccanismo per cui il referendum sia valido per i Comuni che hanno votato a favore».

Sul tema prendono posizione anche i sindacati. Per Cgil, Cisl e Uil l'esito della consultazione in Val di Non e nelle Giudicarie rappresenta «un'occasione mancata per il rafforzamento degli enti locali, di cui nessuno alla fine potrà rallegrarsi, neppure quella sparuta minoranza di cittadini che ha affossato l'integrazione tra i municipi. La democrazia dà in mano ai Comuni il proprio destino e una comunità di meno di 500 anime può legittimamente dire di no alla fusione con i municipi vicini - sostengono Paolo Burli, Lorenzo Pomini e Walter Alotti - l'alternativa però è quella di avere Comuni politicamente insignificanti, costretti a gestioni associate dei propri servizi e impossibilitati ad esercitare appieno le prerogative della partecipazione democratica. L'autonomia non può reggere la sfida dello sviluppo con risorse decrescenti se gli enti locali si trincerano dietro un campanilismo estremo. Il Trentino ha bisogno di enti locali che sappiano mettere assieme le proprie risorse e le proprie peculiarità».

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