PORDOI: LA TESTIMONIANZA

"Così ho visto morirei miei quattro amici"

La testimonianza di uno dei soccorritori superstiti del Pordoi


Martin Riz


 Io vivo di sci, faccio gare di scialpinismo, spesso nella zona dove sabato si sono staccate le valanghe ci vado ad allenarmi, da solo. La Val Lasties l’ho fatta così tante volte che potrei percorrerla ad occhi chiusi. L’abbiamo fatta tutti, con i miei colleghi e amici del Soccorso alpino, ma questa volta ci ha traditi. Facciamo esercitazioni per prepararci al meglio, sappiamo come comportarci e quali valutazioni servono per affrontare il pericolo.
 Ma contro la furia di quella neve salvarsi era impossibile. Era un fronte troppo grande. Ci ha travolti tutti, e per alcuni di noi non c’è stato scampo. Mentre scendevamo per il pendio, con la coda dell’occhio ho fatto in tempo a vedere la neve che si staccava alla mia sinistra. Io ero con il toboga, ho sentito la spinta fortissima della neve che mi buttava in avanti. Sono rimasto sotto e ho rotolato, rotolato non so per quanto. Poi la forza della valanga mi ha sbalzato fuori, e improvvisamente ho sentito che ero in superficie.
 Ero vivo. Mi sono liberato dalla neve, ho gridato. C’era solo buio attorno, vedevo solo le luci delle pile. Ho sentito che Roberto mi rispondeva, era vivo anche lui, era poco sopra di me. Non so com’è stato possibile, ma è successo. Abbiamo dato l’allarme e poi abbiamo iniziato a cercare i nostri compagni.
 È duro accettare quello che è successo. Ma non è stata un’imprudenza partire l’altra sera. Un nostro collega era sceso dalla val Lasties nel pomeriggio. Quando ci hanno chiamato per l’intervento di soccorso a due escursionisti travolti da una valanga erano da poco passate le sei. Siamo partiti in sette, tutti esperti, amici oltre che colleghi, e ci siamo diretti verso la funivia del Pordoi.
 Quando arriva una chiamata per andare a soccorrere qualcuno c’è sempre un’incertezza, la proviamo ogni volta. Ma poi lo spirito di soccorso ti fa partire. L’anno scorso abbiamo fatto un intervento nello stesso posto in condizioni ancora più difficili. C’era una bufera di neve, la visibilità era ridotta quasi a zero. Ma siamo riusciti a salvare le tre persone in difficoltà, le abbiamo portate a valle sane e salve. E allora perché non dovevamo andare anche sabato?
 Quando siamo arrivati all’imbocco della val Lasties, abbiamo valutato insieme la situazione, eravamo tutti e sette gente esperta del posto. Questa montagna la conosciamo da quando siamo bambini. Ma la montagna, per quanti calcoli e valutazioni tu possa fare, ha sempre in sè qualcosa di imponderabile. Non puoi annullare quel minimo margine di rischio, non puoi.
 Oggi sono tornato subito sulle piste, al mio lavoro di maestro di sci. Ho pensato che forse era il modo per riuscire a staccare, per non pensare tutto il giorno solo a questa tragedia. Un modo per andare avanti, anche se c’è un vuoto incolmabile dentro di me.
 Non so se tornerò a fare interventi di soccorso, oggi non so dirlo. Ci penserò, ho una famiglia. A casa, qui a Campitello, ci sono la mia compagna e la mia bambina di un anno e mezzo che mi aspettano. La vita mi ha regalato una seconda opportunità e io non vorrei sprecarla. Penso ai miei amici che non ci sono più.
 Ervin aveva 33 anni, tre più di me: con lui ho imparato a scalare. Era giovane ma aveva un bagaglio importante di esperienza, era uno tosto. Luca era di Campitello come me, arrampicava da quando era bambino. Eravamo colleghi, ma anche amici. Quasi tutti maestri di sci oltre che guide alpine. Io mi aspettavo ancora tanto da tutti loro, avevo ancora bisogno della loro amicizia e del loro sostegno. Oggi ho sentito Sergio, so che lo hanno dimesso dall’ospedale. Lui è stato in Himalaya, ha scalato l’Everest ed è tornato. Questa volta il destino ha voluto che vivessimo insieme questa esperienza tragica, perdere i nostri amici e sopravvivere













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