«Congressi e tessere? Obsoleti»

Pombeni alla vigilia del congresso Upt: «Ridotti a confronto tra dirigenti che temono le divisioni»


Chiara Bert


TRENTO. Eleggono i nuovi dirigenti, ma i congressi dei partiti - osserva il politologo Paolo Pombeni - «sono una forma ormai obsoleta di fare politica, perché con la crisi dei partiti tradizionali si sono ridotti ad un confronto tra ristretti gruppi di dirigenti». Di più: «Tessere e correnti non pesano più perché non dicono quanti voti si prenderanno alle elezioni».

Dieci giorni fa il congresso del Pdl, finito con una spaccatura del partito e le accuse della minoranza al meccanismo delle tessere. Fra tre giorni toccherà all'Upt, che arriva al congresso con nessuna suspance e una candidatura unitaria (Flavia Fontana) frutto dell'accordo tra i gruppi dirigenti espressione delle due correnti del partito.

Ma un congresso dall'esito così scontato non è un elemento di debolezza per un partito? «La verità è che non sanno su cosa contarsi - osserva Pombeni - quanti dirigenti ci sono da una parte e quanti dall'altra non dice poi quanti voti si prenderanno alle elezioni». «Quando c'erano le correnti vere, quelle della vecchia Dc, dietro a ogni corrente c'era una base sociale. La sinistra rappresentava gli operai e le Acli, un'altra corrente gli artigiani. Radicamenti sociali, non solo gruppi di potere. Questo nei partiti attuali non esiste più e quindi è chiaro che i dirigenti hanno tutto l'interesse a non forzare le divisioni, perché forzare vorrebbe dire prendersi la responsabilità di come andranno le elezioni. Ed è una responsabilità che di questi tempi nessuno vuole assumersi».

«Non sono più i tempi - prosegue Pombeni - in cui un partito poteva contare su un proprio zoccolo duro, l'elettorato non è mai stato così mobile come oggi, basta guardare i sondaggi. I gruppi dirigenti, in questa situazione, pensano prima a sopravvivere trovando un accordo tra loro».  Il momento dei congressi, così come si svolgono oggi, secondo il politologo è ormai «del tutto superato». «Siamo davanti alla crisi della forma partito contemporanea, stiamo passando dal vecchio partito di identità di militanza, quello a cui uno dava cuore anima e anche qualcos'altro, a partiti aggregazioni di funzionari che quando va bene cercano di pescare nella società civile qualche candidato adatto, quando va male si illudono di essere loro stessi candidati apprezzabili».

Questo rende i congressi - prosegue Pombeni - «una forma obsoleta del modo di fare politica, perché si riducono ad un confronto fra ristretti gruppi di dirigenti che si nascondono dietro la raccolta di tessere. Ma la gente non partecipa più a questi momenti. I congressi dovrebbero essere fatti con la coscienza che si tratta di un dibattito interno a professionisti della politica che discutono tra loro le strategie migliori per vincere le elezioni».

La trasformazione è inevitabile, avverte Pombeni: «Accanto all'organizzazione-partito, come negli Stati Uniti, le varie forze sociali, insieme ad associazioni, volontariato e lobbies, si organizzeranno sempre più per portare avanti delle idee e nascerà una dialettica tra queste forze e i partiti, a cui rimarrà l'onere di organizzare tecnicamente la lotta politica».













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