«Chiesa, la rivoluzione da noi c’è già»

Don Mauro Leonardelli, decano di Fondo: «Da un anno le nostre dieci parrocchie sono riunite in due Unità pastorali»


di Luca Marognoli


TRENTO. La “rivoluzione” delle Unità pastorali, strada indicata dall’arcivescovo Luigi Bressan al termine dell’assemblea sinodale di sabato, in val di Non è già iniziata. Don Mauro Leonardelli, 44 anni, decano di Fondo, è alla guida di 10 parrocchie, che stanno assumendo nuove forme organizzative ma soprattutto che si stanno trovando su un nuovo e più condiviso terreno di fede. «Da circa un anno camminiamo in questa direzione. Ora abbiamo due unità pastorali: “Santa Maria” e “Santi Martiri Anauniesi”. In precedenza c'era una collaborazione superdatata tra Romeno, Salter e Malgolo, che hanno un parroco solo dagli anni '90, prima don Rodolfo Pizzolli, poi don Giuseppe Seppi e dal 2009 io. Anche Cavareno, Don e Amblar dagli anni 2000 avevano un unico parroco, don Tullio Paris. Io sono arrivato nel 2008 e nel 2013, ragionando con la Diocesi, abbiamo pensato che era venuto il tempo di formare queste due Unità pastorali.

Due Unità pastorali che vantaggio offrono?

Si cambia visione: non c’è più un parroco che organizza tutto, ma si fanno le cose insieme, dando anche responsabilità alle persone, riunite nei comitati di comunità. Poi c'è il consiglio pastorale dell'Unità, che ha lo scopo di pensare alla pastorale, seguire gli aspetti organizzativi ma soprattutto si occupa di come prendere in mano e vivere la propria fede. Perché la crisi grossa non è solo di mancanza di sacerdoti ma riguarda la fede e la domanda di senso che l’uomo porta dentro di sè ma stenta a farsi.

La delega è importante...

Sì, certo, si basa sulla fiducia. Tu ti fidi di queste persone, che ragionano tra di loro e con me, perché non sono sole. Ogni comitato di comunità ha 5 componenti, mentre il consiglio pastorale è composto da 2 membri per ogni comunità, che fanno parte del comitato.

Avete un giro di una ventina di persone, quindi.

Sì, abbondanti, perché ci sono anche i ministri straordinari della comunione, i catechisti, i coristi, i lettori, gli animatori di oratori e campeggi, chi fa le pulizie, i sacrestani, i chierichetti.

In quali paesi dice messa e in quali no la domenica?

Io turno e per poter celebrare dappertutto abbiamo dovuto cambiare tutti gli orari e creare anche una alternanza. I sabati e le domeniche di data pari la messa è a Cavareno, le altre a Sarnonico. Lo stesso avviene con Amblar e Seio. Oggi? Ho fatto Ronzone alle 8, Sarnonico alle 11, Salter alle 17, Don alle 20. Questo perché ho dei collaboratori che mi affiancano: don Ernesto Fedrizzi, don Giuseppe Seppi e don Luigi Eccher.

Quanto sono importanti i laici nella gestione delle parrocchie?

Sono fondamentali, innanzitutto perché la comunità sono loro, non il prete, e poi perché l'Unità pastorale sta portando avanti il concetto di far parte di questa Chiesa e di chiedersi quanto importante sia Gesù Cristo nella propria vita. Sapendo che è un cammino che negli anni potrà avere degli aggiustamenti.

Si andrà sempre di più verso figure un po’ ibride laico-religiose?

Non sono figure ibride. È proprio un prendersi in mano la propria fede, ritornare un po’ alle origini. Facendo suscitare nella comunità dei carismi e ministeri nuovi che non c'erano, perché erano ricoperti dal sacerdote o perché non se ne sentiva la necessità. Un esempio? La cura di anziani e malati a casa e in ospedale, tutta l'emergenza educativa, lo smarrimento a livello personale e culturale... Non si sarà più da soli, ma la comunità dovrà trovare strade nuove. E se si sbaglia si rimedierà.

Ci si “corigerà”, come diceva papa Wojtyla.

Sì, o anche come dice Papa Francesco: non abbiate paura di una Chiesa a volte ammaccata. L'importante è non perdere di vista il Vangelo.

Crede che l'effetto Papa Francesco porterà nuove vocazioni?

Credo che sicuramente aiuterà. L'aspetto delle vocazioni però va più in profondità dell'emozione, è la risposta a una chiamata. La cosa più importante sarà vedere crescere comunità fraterne di persone che sanno stare e pregare assieme, si accolgono come sono e non si giudicano. È la grande scommessa anche vocazionale.

La crisi delle vocazioni può avere, quindi, un effetto positivo: quello di riscoprire il cristianesimo più autentico.

È la sfida. Questa crisi può diventare un grande lievito.













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