Cesarei programmati Nessuno stop negli ospedali di valle

Ioppi, primario a Rovereto, sul caso Arco: «Decisione affrettata, i punti nascita periferici non chiuderanno»


di Chiara Bert


TRENTO. L’ospedale di Arco taglia i parti cesarei programmati? Gli altri ospedali periferici - Cles, Cavalese e Tione - non seguiranno questa linea. «Non possiamo fare dei S.Chiara in piccolo in ogni valle, quello che dobbiamo fare è valutare il rischio gestibile di ciascuna struttura, che significa far partorire a Trento e Rovereto nei casi a rischio». Marco Ioppi è primario di ostetricia e ginecologia a Rovereto e direttore del dipartimento materno-infantile dell’Azienda sanitaria, e conosce direttamente la realtà di periferia essendo stato responsabile del reparto di ostetricia di Tione dal 2011 al 2013. Fu lui, un anno fa, a lanciare l’allarme sui requisiti necessari ai punti nascita degli ospedali di valle. Ma oggi, di fronte alla lettera inviata dal primario di Arco, Arne Luehwink, al personale dell’ospedale («Stop ai cesarei programmati e gravidanze con un rischio trasferite a Trento e Rovereto»), parla di «mossa affrettata». «Ho parlato con gli altri colleghi primari di Cles (Franco Nicolodi, ndr) e Cavalese (Bruna Zeni, ndr) e siamo sulla stessa linea. Non è in discussione il fatto di sospendere i cesarei programmati». «Capisco - continua Ioppi - la preoccupazione di fare numero e di ottenere più personale e dotazioni in tempi di organici assottigliati, ma dobbiamo essere chiari. In Azienda sanitaria nessuno ha mai prospettato la chiusura dei punti nascita di valle, la direttiva di novembre non parla di parti fisiologici in valle e programmati a Trento e Rovereto, ma di valutazione a seconda del rischio gestibile, per dare ad ogni paziente il massimo della risposta. Il nostro compito è anche quello di indirizzare le future mamme nella struttura che meglio potrà assisterle. Questo va a vantaggio della sicurezza della paziente ma anche del medico». Ma questo non significa alla fine ridurre fortemente le nascite negli ospedali periferici, e quindi decretarne un inevitabile declino? Ioppi contesta questa interpretazione: «Non c’è in vista lo spopolamento della periferia. Ho letto di parti dimezzati, ma non scherziamo. Anche perché il livello centrale, Trento e Rovereto, non sarebbe in grado di assorbire tutti i parti. Se ad Arco saranno 10-15 in meno all’anno, non sarà un problema. Sono quei casi che possono impegnare maggiormente il reparto esponendolo al rischio di non dare un’adeguata assistenza. Ma se Arco, che ha tutti i servizi necessari per farlo, smette di fare i cesarei programmati, questa è un’uscita poco condivisibile e poco comprensibile. È una semplificazione del primario di Arco, sicuramente non è stata concordata con nessuno di noi, tanto che gli altri primari della periferia non stanno pensando di adottare misure di questo tipo». Ioppi cita la sua esperienza a Tione: «Abbiamo sempre detto, se ci sono situazioni che meritano di essere trasferite, facciamolo subito. Questo non vuol dire assolutamente chiudere il reparto. Anzi, significa evitare di venire chiusi d’ufficio. Perché - avverte il primario - se vogliamo fare numero e insieme trattare le patologie, questo va a scapito della qualità». E rivendica: «Sono stato il primo a pretendere la sicurezza di tutti i punti nascita. In Trentino abbiamo istituito un servizio ospedaliero unico, e questo oggi ci permette di non misurare più i punti nascita sul numero di parti, o più in generale di prestazioni, ma sulla qualità delle prestazioni. Dobbiamo lavorare insieme, periferia e centro, garantendo una mobilità dei pazienti e degli operatori. Non possiamo più ragionare ognuno per sè, Arco, Tione, Cavalese, Cles. La priorità è la sicurezza del paziente». E sarà il medico che segue la paziente, chiarisce Ioppi, ad indirizzarla al momento del parto nell’ospedale più idoneo. E quello che vale per l’ostetricia, insiste il primario, vale anche per le altre branche: «Il problema della periferia esiste per tutte le branche specialistiche. Il piano di miglioramento della Provincia ha detto quello che noi sosteniamo da sempre, e cioè che ogni ospedale deve fare, nell’interesse del paziente, quello che gli è consentito di fare, lasciando che i casi più complessi vengano trattati dove i servizi sono più completi».

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